Prendiamoci cura della Terra

I frutti di Novembre

Siamo al penultimo mese dell’anno, le giornate sempre più corte, evidenziate anche dal passaggio dall’ora legale a quella solare, l’arrivo delle piogge autunnali, ci fanno cominciare a desiderare un posto accanto al caminetto, magari con una padella piena di castagne con la buccia appena segnata dalla punta di un coltellino e raccolte al mattino sui monti vicini.

Guardiamo più in dettaglio l’albero che ci regala quelle squisitezze che chiamiamo frutti, ma che scopriremo sono semi. Il Castagno (Castanea sativa), della famiglia delleFagaceae, è un grande albero deciduo molto longevo, (supera facilmente i 500 anni di vita), dal portamento maestoso che gli permette di raggiungere, in condizioni ottimali, i 30 – 35 metri di altezza con tronchi di 3-6 m di diametro. Il famoso “Castagno dei cento cavalli” dell’Etna supera abbondantemente tali misure. Il tronco è normalmente dritto e, se isolato, si diparte presto in grosse branche, dando alla chioma un aspetto ampio e tondeggiante. Ha foglie caduche, semplici, alterne e disposte a spirale, con il contorno ellittico-lanceolato e il margine seghettato.

Le castagne fanno capolino dai ricci. Notare come foglie e ricci cadano contemporaneamente dal Castagno (Castanea sativa). Foto di Attilio Marzorati.

Essendo una specie che vegeta almeno a 200 metri di altezza e che si spinge fino ai 1.300 metri, è caratterizzata sia da fogliazione che fioritura tardive, per evitare che le gelate possano danneggiarla: le prime foglioline cominciano a spuntare a fine aprile e i fiori aspettano fine giugno per fare capolino. La specie è monoica con infiorescenze ad amento miste o anche solo maschili, mentre il minuto involucro fiorale dei fiori femminili si trasformerà nel riccio che tutti conosciamo. L’impollinazione è principalmente anemofila, ma la presenza di nettarii, derivati dagli abbozzi del pistillo e l’odore delle infiorescenze maschili fa si che api, coleotteri e ditteri li frequentino assiduamente, sebbene non si tratti di un tipo di impollinazione insetto-dipendente, visto che i fiori femminili sono privi di attrattivi e il contatto con gli insetti è casuale.

Il riccio, come avremo avuto modo di sperimentare, è fortemente spinoso, contiene normalmente 3 frutti (ma a volte 2 e fino a 7); si tratta di acheni con pericarpo liscio, coriaceo e di colore bruno (la “buccia” delle castagne). Quello che mangiamo è il seme, formato da due cotiledoni dalla polpa dura color avorio e protetti da una pellicola membranacea di colore marrone chiaro.
Il legno di castagno è particolarmente resistente ai tarli per il suo elevato contenuto in tannini, ma nonostante sia molto richiesto, in passato difficilmente gli abitanti dei piccoli paesi di montagna avrebbero abbattuto i castagni per fabbricare mobili: quando la neve li isolava anche per molti giorni, avevano nelle castagne una incomparabile fonte di energia.

Sono tanti gli animali che approfittano delle castagne per prepararsi all’inverno: cinghiali, tassi e cervi per aumentare il grasso sottocutaneo che farà loro da cappotto, gli scoiattoli per riempire le loro dispense e i ghiri per prepararsi al letargo.

Ghiande di Leccio (Quercus ilex). Foto di Graziano Propetto.

Ma non sono solo le castagne a fornire energia per l’inverno agli abitanti dei boschi: non dimentichiamo le ghiande! Oltre ai mammiferi piccoli e grandi, le ghiande sono apprezzate anche dalle Ghiandaie (chiamate così non a caso) e dai Picchi. Inoltre, mentre le castagne si trovano solo in ecosistemi definiti da precisi parametri (altitudine, insolazione, temperature, ecc..), le ghiande si trovano praticamente ovunque, visto che le querce sono praticamente ovunque. Certo, dire querce è decisamente generico, visto che il Pianeta ne ospita circa 600 specie! In Italia quelle più frequenti sono circa nove, ciascuna delle quali vive in specifici ecosistemi. Ricordiamo le tre più comuni. Partendo dalle aree costiere del Mediterraneo troviamo il Leccio (Quercus ilex), della famiglia delle Fagaceae. I suoi habitat d’elezione sono i boschi asciutti e la Macchia Mediterranea; è quindi una specie sempreverde. È una pianta molto longeva, raggiungendo spesso i 1000 anni di età. Alta fino a 25 m, il tronco può superare il metro di diametro; la sua chioma globosa e molto densa è verde cupo, formata da grosse branche che si dipartono presto dal tronco.

Le foglie sono coriacee e persistenti e durano mediamente 2-3 anni. La pianta è dotata di una spiccata eterofillia e di conseguenza la lamina fogliare può avere, sulla stessa pianta, diverse dimensioni e forme; da ellittica a lanceolata o arrotondata, di lunghezza variabile da 3 a 7 cm e larghezza da 1 a 3,5 cm, a base cuneata o arrotondata; il margine può essere intero o grossolanamente dentato, fino ad essere spinescente nelle parti basse della pianta: è il suo modo di difendersi dal pascolamento.
Il Leccio fiorisce da aprile a giugno, a volte può fiorire nuovamente in autunno. I fiori maschili sono riuniti in amenti penduli, che facilitano l’impollinazione dei minuti fiori femminili da parte del vento.

È importante notare come l’apparato radicale del Leccio sia di tipo fittonante, anche se produce robuste radici laterali che emettono polloni. Il fittone può penetrare per diversi metri anche in terreni rocciosi, rendendo la specie molto resistente agli ambienti aridi e agli eventi meteorici avversi. Questa caratteristica lo rende prezioso nei territori a rischio frane. Motivo importante per evitare che le scarpate su cui vegeta questa specie vengano incendiate.

Ghianda di Sughera (Quercus suber). Foto di Vito Buono.

La quercia che invece non ha paura degli incendi è la Sughera (Quercus suber). Il carattere più distintivo di questa specie è la corteccia. Inizialmente liscia e grigia, in breve si ispessisce e diviene rugosa, solcata da profonde scanalature di colore chiaro all’esterno e rosato all’interno, dove diventa spugnosa; in pochi anni può raggiungere uno spessore di 5-7 cm, che persiste per tutta la vita dell’albero:” il sughero”. È il sughero che la protegge dal fuoco. Così bruceranno solo le foglie, che rispunteranno la primavera seguente. Come il Leccio, la Sughera è sempreverde, ma di dimensioni decisamente minori; il tronco quasi mai dritto, ben presto si divide in ramificazioni poco regolari a formare una chioma asimmetrica, larga e meno fitta di quella del Leccio. Anche in questo caso le foglie sono differenti a seconda dell’età e dell’altezza dal suolo. Le ghiande della Sughera sono facilmente distinguibili, perché le squame apicali della cupola sono libere e un po’ “arricciate”, tanto che una bambina, durante un laboratorio all’aperto, disse che quelle ghiande si facevano la permanente come la sua mamma!

Ghiande di Farnia (Quercus robur). Foto di Graziano Propetto.

Se Leccio e Sughera amano le aree più aride e calde, non è cosi per la grande Farnia (Quercus robur), componente delle grandi foreste planiziali tendenzialmente continentali dell’Europa centrale e orientale, con inverni rigidi e estati calde ma mai secche, con disponibilità idrica per tutto l’anno, essendo capace di sopportare anche lunghe sommersioni durante il riposo vegetativo.
Purtroppo questa specie occupava principalmente le zone più fertili del territorio e la maggior parte di questi ambienti è stata modificata dall’uomo per le coltivazioni. La contrazione della sua presenza continua tuttora con forte rischio di scomparsa in molte zone dell’Italia peninsulare, entrando in contatto dal basso con le leccete e dall’alto con le faggete, i castagneti e gli ontaneti di Ontano napoletano.

La Farnia è un grande albero deciduo di prima grandezza di primaria importanza ecologica, che può raggiungere i 50 m e diametri del tronco di oltre due metri. Anch’essa è specie molto longeva, superando anche i 500 anni di vita. Il suo tronco robusto si ramifica in grosse branche, formando una chioma molto ampia anche se non molto densa, portata nella parte basale da grossi rami disposti orizzontalmente.

I fiori compaiono insieme alle foglie dalla fine di aprile a maggio e, come nelle altre querce, sono amenti di fiori maschili e piccoli fiori femminili che, dopo l’impollinazione anemofila, danno luogo alle ghiande, che maturano nell’anno in settembre-ottobre. Le ghiande della Farnia sono lunghe da 2 a 3,5 cm e hanno una cupola che le copre per 1/4 – 1/3, formata da squame embriciate di forma triangolare, più grandi vicino al picciolo.

Foglie e drupe di Lentisco (Pistacia lentiscus), in fase di maturazione. Foto di Anna Lacci.

Abbiamo visto come le castagne e le ghiande vengano consumate soprattutto dai mammiferi, non è così per i frutti del Lentisco (Pistacia lentiscus), della famiglia delle Anacardiaceae, le cui drupe sono molto appetite dagli uccelli. Chi scrive ha la fortuna di avere sul confine del giardino un Lentisco di eccezionali dimensioni, che produce grandi quantità di frutti. Quando i grossi stormi di Storni atterrano sui suoi rami con una rumorosa gazzarra, dal banchetto che segue non avanza assolutamente nulla!

Pianta sempreverde a portamento arbustivo, raramente arboreo, dall’accentuato odore di resina, il Lentisco ha chioma generalmente densa e fitta di forma globosa. Essendo una specie eliofila, termofila e xerofila tende a prendere la tipica forma a pulvino, che le permette di proteggere il suolo su cui vegeta per evitarne il disseccamento. Tipico componente della Macchia Mediterranea sempreverde, il Lentisco vegeta dal livello del mare fino a 600 metri, spesso in associazione con l’olivastro, la fillirea e il mirto; non è specie colonizzatrice ma può assumere aspetto dominante nelle fasi di degradazione della macchia, in particolare dopo ripetuti incendi, vista la facilità con cui ricaccia dalle radici. Le foglie alterne, paripennate e glabre sono di colore verde cupo, con 6-10 segmenti ottusi ellittico-lanceolati a margine intero e apice ottuso, lunghi fino a 30 mm. La lamina, particolarmente coriacea, serve ad evitarle la disidratazione. I piccoli fiori unisessuali disposti in pannocchie sono impollinati soprattutto dal vento, anche se le api che li frequentano per raccogliere il polline, possono contribuire all’impollinazione.
Le piccole drupe globose del diametro di 4-5 mm sono carnose, inizialmente rossastre poi nere a maturità, contengono un seme.

Il Lentisco ha notevole importanza ecologica per la rapidità con cui ripristina un buon grado di copertura vegetale del suolo denudato. È considerata una specie miglioratrice nel terreno. Il terriccio presente sotto i cespugli di questa specie è considerato un buon substrato per il giardinaggio. Per la sua rusticità è tra le più adatte all’impiego nella riqualificazione ambientale e per l’arredo verde di zone marginali o difficili, quali quelle in forte pendio e altamente rocciose.

Bacche e fiori di Corbezzolo (Arbutus unedo). Foto di Attilio Marzorati.

Per finire voglio ricordare altre due importantissime specie tipiche della Macchia Mediterranea, che in questo mese ci regalano frutti molto graditi da mammiferi (noi compresi) e uccelli: il Corbezzolo (Arbutus unedo) della famiglia delle Ericaceae e il Mirto (Myrtus communis) della famiglia delle Myrtaceae.

Ma non parleremo delle buone marmellate che si possono preparare con le rosse bacche di Corbezzolo e dei tanti modi in cui le bacche e le profumate foglie del Mirto possono essere utilizzate. Né vi dirò di quanto Pettirossi, Codirossi spazzacamino, Merli, Capinere, Ghiandaie e Gazze siano ghiotti delle bacche appena mature del Corbezzolo. Oppure di come le bacche di Mirto siano irresistibili, soprattutto per i Tordi. Non lo farò perché Beatrice Lupi ne ha già parlato in due dei suoi interessantissimi articoli a cui vi rimando, dandovi appuntamento a Dicembre.
https://www.earthgardeners.it/2024/10/29/il-corbezzolo-e-la-sua-ninfa/ https://www.earthgardeners.it/2021/06/30/lestate-e-arrivata-il-mirto-e-in-fiore/

Bacche e foglie di Mirto (Myrtus communis). Foto di Anna Lacci.

Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.