Prendiamoci cura della Terra

Earthgardening: plastica e mare, per esempio.

Un giovane Gabbiano reale (Larus michahellis) ha appena “catturato” un pezzo di plastica credendo di aver trovato del cibo.

L’arenile di sabbia dorata che dalle foci del Po si snoda quasi ininterrottamente fino al Gargano, a metà strada fra Termoli e Lesina percorre la Marina del piccolo comune di Chieuti.

Un paio di settimane fa, dopo circa quarant’anni, sono tornata a Chieuti. La spiaggia era sempre bellissima e la duna, a parte qualche interruzione dovuta agli stabilimenti balneari, è rimasta abbastanza ricca.

Eppure, guardando una delle spiagge della mia fanciullezza, non capivo perché sentissi un qualche disagio e cosa fosse veramente cambiato. C’erano LE PLASTICHE. L’ultima volta che avevo visto quell’arenile, nel nostro quotidiano non erano ancora entrati tutti quegli oggetti che adesso ingombrano le nostre vite e il Pianeta.

Ho preso un sacchetto che porto sempre con me nello zainetto e, insieme a mio marito e al nostro cane, abbiamo cominciato a pulire un pezzo di spiaggia. Due turisti accampati poco lontano mi hanno imitato, sorridendomi. Nel giro di un’ora abbiamo ripulito dai macrorifiuti circa un chilometro di spiaggia, abbiamo fatto amicizia e siamo andati a prendere un caffè insieme.

Un esempio di earthgardening.

Certo, il mare porterà altri rifiuti. Probabilmente mentre scrivo quel chilometro di spiaggia è stato insudiciato da altre plastiche. Saranno sempre meno di quante ce ne sarebbero se noi e i due turisti tedeschi non avessimo impiegato un’ora della nostra giornata di vacanza per raccoglierli.

L’earthgardening è prendersi cura della terra e del nostro futuro. Tornando a Chieuti non troveremo più quei rifiuti, perché quei rifiuti sono stati eliminati non solo dal nostro futuro ma dal futuro delle bambine e dei bambini che verranno; perché quei rifiuti raccolti non danneggeranno gli ecosistemi di cui facciamo parte e che ci sostengono.

Ma perché le plastiche disperse in mare e sugli arenili sono pericolose?

Negli anni 70’ quello delle plastiche veniva considerato “inquinamento visivo”: una spiaggia invasa dalla plastica era considerata solo “antiestetica”. Ben presto ci si rese conto che questi materiali erano dannosi per l’ambiente perché, essendo di sintesi, non avevano la possibilità di entrare nei cicli della materia ed essere smaltiti naturalmente.

L’accumulo delle plastiche in mare avviene su tre livelli: le plastiche che si spiaggiano sulle coste, quelle che restano a galla e quelle che si depositano sui fondali.

I pezzetti di plastica che galleggiano sono pericolosi per gli uccelli pelagici che li ingeriscono, mentre le buste di plastica che veleggiamo a mezz’acqua vengono ingoiate dalle tartarughe marine che le scambiano per meduse.

Una Caretta rischia di ingerire una busta di plastica (foto da http://www.ehabitat.it)

Le plastiche col tempo vengono sminuzzate dagli agenti atmosferici e dai raggi ultravioletti del Sole. Le ridotte dimensioni, le rendono più facilmente ingeribili dagli organismi marini di cui ci nutriamo. Grazie alla loro superficie porosa, inoltre, i frammenti di plastica possono assorbire inquinanti organici, che vengono assunti insieme alla plastica.

I pezzetti più minuscoli di plastica possono essere ingeriti dagli organismi marini filtratori, come i mitili, che filtrano circa 50 litri d’acqua al giorno, o dalle balene, che possono filtrare fino a 70.000 litri di acqua in un sola boccata.

Il polietilene (PE), che compone i flaconi dei detersivi, il polistirene (PS) e il polistirene espanso (polistirolo), sono le plastiche che più facilmente assorbono inquinanti chimici come il pirene, composto tossico cancerogeno per reni e fegato. Anche le diossine vengono intrappolate dalle microplastiche che possono essere assorbite dai mitili e finire sulla nostra tavola.

I composti inquinanti più pericolosi (insetticidi, erbicidi, lubrificanti, fluidi di condizionamento, vernici) non sono solubili in acqua, perciò queste molecole si legano alla superficie delle microplastiche in concentrazioni molto alte.

Le nanoplastiche, quelle al di sotto di 0,3 millimetri, hanno le stesse proprietà delle microplastiche di assorbire i tossici, ma sono più insidiose perché, essendo in grado di incorporare molte più sostanze a parità di peso e di essere ingerite anche dai più piccoli organismi della catena alimentare come il plancton, danno un effetto di accumulo maggiore lungo la catena alimentare che porta verso gli animali che poi mangiamo.

Sui rifiuti di plastica che giacciono sui fondali credo basti sapere che le ultime stime dicono che, in fondo al Mediterraneo, si trovano da 600 a 3000 tonnellate di rifiuti, prevalentemente plastici.

Cadavere di Albatro con lo stomaco pieno di plastica (foto da “https://animalivolanti.xyz)

Crediti

Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.