Prendiamoci cura della Terra

Possiamo aiutare la Terra ogni giorno con la nostra spesa?

Sono tante le mode che nascono e muoiono in ambito alimentare, ma un pensiero del quale si sente più spesso parlare è quello della Nutrition Ecology. Il concetto di Ecologia della Nutrizione nasce nel 1986, quando un gruppo di nutrizionisti dell’Università di Giessen, in Germania, prende in esame tutte le componenti del ciclo di vita dell’alimento e ne valuta gli effetti secondo le 4 dimensioni della vita: la salute umana, l’ambiente, la società e l’economia.

Sono valutate tutte le componenti della catena alimentare coinvolte nel processo di produzione e consumo del cibo, “dalla culla alla tomba”, le quali comprendono la produzione, la raccolta, la conservazione, l’immagazzinamento, il trasporto, la lavorazione, il confezionamento, il commercio, la distribuzione, la preparazione, la composizione, il consumo del cibo e lo smaltimento dei materiali di scarto delle varie fasi.
Rapportando le 4 dimensioni è possibile valutare la sostenibilità del nostro stile alimentare.

Osservando i dati riportati ci rendiamo conto di quanto il cibo divenga l’esempio più eclatante e concreto della rete di connessioni che regola la vita sul Pianeta; esso è contemporaneamente nutrizione e cultura, ambiente e geografia, storia e identità e ogni prodotto che portiamo in tavola è il risultato di una connessione tra ecosistemi suolo, aria, acqua, specie vegetali, animali, saperi, uomo.
Ed è per questo che ognuno di noi, consumatore, determina con le sue scelte alimentari quotidiane un grande impatto sulla terra e sulla biodiversità.

Negli ultimi cinquant’anni si è andato diffondendo in maniera esponenziale in tutto il mondo industrializzato, il consumo di alimenti animali: carne, pesce, latte e latticini, uova. Questi alimenti si consumano oggi in ogni pasto, in tutte le famiglie, al contrario di quanto avveniva fino agli anni 50, quando la dieta era prevalentemente basata su vegetali e legumi e le carni rosse erano destinate alle sole giornate di festa, solo chi viveva in campagna poteva permettersi qualche gallina e uovo in più.

Da cosa è dipeso questo incremento? Essenzialmente dal costo, questi prodotti, infatti, oggi hanno un costo di produzione molto basso, rispetto ai costi reali di produzione, ancor più basso anche degli alimenti vegetali, che invece, per forza di cose, hanno alle spalle una quantità di materie prime, energia, lavoro, molto maggiore.

Paghiamo poco per mangiare, ma ad uno scontrino leggero corrisponde un conto ambientale molto più salato di quanto pensiamo.
Qualche numero per comprendere:

  • l’agricoltura a supporto degli allevamenti animali occupa oggi il 78% della terra utilizzata in agricoltura in tutto il mondo;
  • dal 1970 il peso collettivo dei mammiferi selvatici è diminuito dell’82%, mentre i polli oggi rappresentano, per massa, il 57% di tutti gli uccelli;
  • 100 g di manzo comportano l’emissione di 1.600 g di CO2, un valore che è circa 14 volte quello di gas serra medi emessi durante il ciclo vitale di 100 g di frutta e verdura e 2,5 volte quelli collegati al pesce, al pollo e alle uova;
  • Dai dati UNESCO, dal 20 al 33% dell’acqua dolce mondiale sarebbe assorbita dall’industria zootecnica per produrre carne e derivati animali, di cui il 98%, è utilizzato per produrre i mangimi, mentre appena l’1,1% serve a dar da bere agli animali. Per la produzione di qualunque tipo di verdura, servono in media 300 litri di acqua per chilo.

Tali evidenze mostrano un equilibrio sconvolto dalla diffusione di diete che insistono sul consumo delle carni che provengono dagli allevamenti intensivi dove si possono allevare milioni di capi, senza disporre di coltivi per alimentarli, ma utilizzando solo mangimi artificiali.

Lo stesso avviene quando andiamo ad acquistare prodotti che vengono da migliaia di chilometri di distanza: il trasporto aereo di un chilo di mele cilene produce 18,3 kg di anidride carbonica e consuma 5,8 chili di petrolio, per un kg di kiwi dalla Nuova Zelanda vengono emessi 24,7 kg di anidride carbonica e consumati 7,9 chili di petrolio.

Cosa ci insegnano questi numeri? L’unica variabile veramente dominante per l’impatto ambientale, per la salute umana e il benessere animale sono le scelte di ogni singolo consumatore.
La prossima volta che facciamo la spesa, tornati a casa, leggiamo lo scontrino, proviamo a pensare non a quanto abbiamo risparmiato, ma su quanto abbiamo donato alla nostra Terra.

Acquistando prodotti locali e di stagione si risparmia energia e si producono la metà delle emissioni di gas ad effetto serra come l’anidride carbonica. Un esempio pratico viene dal pomodoro: la coltivazione in serre riscaldate produce emissioni di carbonio circa 60 volte superiori alla coltivazione stagionale in campo.

I colori del benessere https://www.salute.gov.it/portale/documentazione

I prodotti di stagione, inoltre, contengono maggiore quantità di vitamine e nutrienti, sono più saporiti e aiutano l’ambiente ed in più aiutiamo l’economia locale e valorizziamo le tipicità inconfondibili della nostra terra.

In sintesi: se vuoi far del bene a te stesso e all’ambiente, privilegia i prodotti locali e di stagione, mangia più cereali, legumi, ortaggi e frutta, riduci il consumo di carni rosse, scegli responsabilmente, riduci gli alimenti eccessivamente trasformati, varia la tua dieta quotidiana e riduci gli sprechi.


BIBLIOGRAFIA

NEIC Centro Internazionale di Ecologia della Nutrizione – http://www.nutritionecology.org
https://www.saicosamangi.info/download/report_impatto_amb_A4.pdf
https://www.wwf.it/cosa-facciamo/campagne/food4future/

Crediti
Autore: Carlo Milia
è biologo, formatore e divulgatore scientifico, esperto di nutrizione. Si occupa di educazione ambientale curando progetti, campagne, seminari ed eventi. Progetta e gestisce spazi espositivi, musei, strutture ricettive e centri di educazione ambientale.