Prendiamoci cura della Terra

La vegetazione mediterranea

ovvero come organizzarsi per vivere fermi sotto il sole

Oleandro (Nerium oleander) una delle piante tipiche della vegetazione mediterranea che vive lungo i corsi d’acque e che, per la sua facile coltivabilità, è stato selezionato artificialmente per decorare autostrade e giardini. Foto Anna Lacci.

La vegetazione della regione mediterranea, dominata da alberi sempreverdi, arbusti e cespugli che possono resistere alle lunghe e caldissime estati senza pioggia, si distingue assolutamente da quella di ogni altra regione europea, africana o asiatica di cui pure è parte. E’ singolare infatti come la natura così diversa dei tre continenti si incontri ed omogenizzi sugli estremi lembi di ciascuno di essi: sud dell’Europa, nord dell’Africa, ovest dell’Asia. Anche le culture dei popoli che da sempre abitano i tre continenti si sono incontrate e mescolate in questo bacino, non solo perché le imbarcazioni hanno permesso scambi commerciali e culturali, ma perché l’identica vegetazione e le stesse possibilità di coltivazione sono state al centro di forme di evoluzione culturale convergenti.

Traversie geologiche, gradienti climatici, estrema varietà e frammentazione degli habitat, hanno portato ad una straordinaria ricchezza di specie e di endemismi nella vegetazione mediterranea, superiore a quella di qualsiasi altra zona di uguale latitudine e pari ampiezza: si contano 171 famiglie, con ben 1.649 generi e oltre 20.000 specie, il 38% delle quali endemiche!

Il bacino del Mediterraneo è uno dei 25 biodiversity hotspots individuati a livello planetario per i quali la conservazione è di importanza irrinunciabile. I 25 siti sono stati determinati prendendo in considerazione due fattori: un’elevata concentrazione di endemismi e la tendenza ad una forte perdita di habitat.
(Myers et al., 2000)

Gli adattamenti

La flora, e di conseguenza la fauna, che ha colonizzato il territorio che fa da cornice al Mediterraneo, hanno dovuto affrontare una situazione molto particolare. Ma se gli animali possono cercare rifugio nei momenti in cui il sole dardeggia senza pietà, per le piante, ancorate al suolo, la sfida è stata approfittare di tanta luce senza farsi male!

Piovosità concentrata solo in pochi mesi, quindi lunghi periodi siccitosi e lungo fotoperiodo annuale, fanno considerare il clima mediterraneo come subtropicale e, in effetti, la vegetazione tipica mediterranea è una Foresta Subtropicale a Sclerofille.

Foresta sempreverde a leccio, in primo piano un olivastro. Foto Anna Lacci.

Per iniziare una riflessione sugli adattamenti che le piante hanno dovuto adottare, concentriamoci sulla parola sclerofillia: deriva dal greco scleròs, duro e phyllon, foglia, ed è il più importante adattamento che la maggior parte delle piante mediterranee ha dovuto adottare in questo clima. Consiste nella presenza di foglie piccole, coriacee, dotate di particolari strutture utili a limitare la traspirazione e quindi la perdita d’acqua. E’ un adattamento che si è reso indispensabile soprattutto per le specie più esposte al sole, al vento e al salmastro, sia per lo sviluppo in altezza che per la collocazione su pendii rocciosi o sabbie litoranee. Il fatto che tante specie appartenenti a famiglie diverse abbiano adottato questo stratagemma, evidenzia una convergenza adattativa che spiega la “somiglianza” tra le foglie di piante filogeneticamente anche lontane come il Lentisco (Pistacia lentiscus), l’Olivastro (Olea europaea), il Carrubo (Ceratonia siliqua), il Leccio (Quercus ilex), per ricordarne solo alcuni.

Lentisco (Pistacia lentiscus) ricco di bacche, cibo prediletto da molti uccelli. Foto Anna Lacci.

La riduzione delle dimensioni della lamina fogliare è una strategia adottata sia da piante che devono limitare le perdite di acqua come i ginepri (Juniperus sp.), i giunchi (Juncus sp.) o la Ginestra odorosa (Spartium junceum), ma anche da piante come le conifere che, colonizzando i piani montani, devono evitare il congelamento. Così la foglia aghiforme comune a tutti i pini è utile loro sia sui litorali (pino marittimo, domestico, d’Aleppo) che nelle aree montane (pino nero, pino mugo).

Vi sono poi piante come il Leccio e l’Olivo che alla sclerofillia hanno aggiunto altre strategie adattative. Osservando la loro foglia notiamo che la pagina superiore è lucente e quella inferiore tomentosa, presenta cioè una peluria molto fitta e corta. La lucentezza riflette parte dei raggi solari, il tomento impedisce ulteriormente la traspirazione. In molti casi, come per la Santolina delle spiagge (Achillea marittima), il tomento è presente su tutta la pianta, proprio come nella Stella alpina (Leontopodium alpinum): entrambe queste piante riparano le loro riserve idriche dagli agenti atmosferici. Nella Santolina per preservarle, nella Stella alpina perché non gelino. Sollecitazioni climatiche opposte hanno determinato un identico adattamento.

La Santolina (Achillea marittima) (foto in alto) che vive sulle spiagge e la Cineraria marittima (Jacobaea maritima) (foto in basso) che guarda il mare dalle rocce, hanno adottato lo stesso stratagemma per mitigare l’effetto dell’insolazione sulle loro foglie ed evitare la disidratazione: il tomento. Foto Anna Lacci.

Dove la carenza di acqua è particolarmente forte, come sulle spiagge o sulle rocce, luoghi assimilabili ai deserti, le piante adottano due tipi di strategie, le stesse adottate dalle piante del deserto: trasformano le loro foglie in spine e pongono in serbo grandi quantitativi di acqua nel fusto o nelle foglie, rendendoli succulenti. Trasformano cioè le loro cellule in autentici depositi d’acqua, che difendono poi dalla traspirazione per mezzo di una drastica diminuzione degli stomi (equivalenti vegetali dei pori della nostra pelle).

Per ridurre la perdita d’acqua e come deterrente contro il pascolamento, molte specie liberano olii essenziali aromatici. Negli epiteli dei fusti giovani o delle foglie sono localizzati cellule specializzate e tessuti secretori che secernono queste sostanze dall’odore penetrante. Sbalzi termici, urti o sfregamenti determinano la rottura dello strato cuticolare e causano la liberazione degli olii essenziali estremamente volatili.

Vi è poi una caratteristica molto comune nelle specie vegetali mediterranee; si tratta dell’eterofillia, la capacità cioè di sviluppare foglie di forma e dimensione differenti anche sullo stesso ramo. Esempi della presenza di foglie di forma diversa nella stessa pianta, a seconda dell’altezza dal suolo alla quale si trovano, sono l’Edera (Hedera helix)  e il Leccio. Nel primo caso vi è diversità di forma, nel secondo di dimensione. Se si osserva la forma delle foglie di edera poste sui rami che corrono sul terreno, se ne noterà la classica forma stellata, che si perde a favore di una più arrotondata, a mano a mano che la pianta, arrampicandosi, raggiunge le “postazioni” più alte ed illuminate.

Nel caso del Leccio, le foglie più basse e meno esposte alla luce diretta (la macchia a leccio è molto fitta), hanno una lamina anche quattro volte più grande di quella delle foglie dei rami più alti. Le foglie poste più vicino al terreno, inoltre, hanno anche una caratteristica “spinosità” del bordo, che si perde del tutto sulle foglie più alte, dove cioè non arrivano gli erbivori!

Anche gli apparati radicali, nelle zone particolarmente siccitose, presentano una serie di adattamenti che ne aumentano la capacità di assorbire l’acqua; così l’apparato radicale dell’Ammofila (Ammophila arenaria), pianta pioniera dei litorali sabbiosi, forma una rete molto estesa, che le permette di raccogliere la pioggia che filtra rapidamente attraverso la sabbia. Molte altre piante, come le carote (Daucus sp. e Echinophora sp.)utilizzano invece le radici come riserva di nutrienti.

In primavera, mentre sui rami della maggior pare delle piante spuntano nuove foglie l’Euforbia arborea (Euphorbia dendroides) si tinge di colori autunnali e perde le foglie esponendo al sole dell’estate dei rami nudi. Foto Anna Lacci.

Piante come l’Euforbia arborea (Euphorbia dendroides), che forma popolamenti puri o misti nell’orizzonte più caldo della macchia, sulle rocce costiere esposte ai venti marini e ad una intensissima insolazione, hanno trovato conveniente invertire il periodo di riposo e quello vegetativo. Dopo la fioritura primaverile, l’Euforbia perde le foglie ed entra in quiescenza; solo in autunno, mentre gli alberi dell’entroterra, che devono preoccuparsi del gelo, perdono le foglie essa, approfittando delle piogge autunnali, si riveste di verde!

Chiudiamo questa parziale rassegna, ricordando una caratteristica che accomuna tutte le specie, sia quelle arboree che quelle arbustive: le piante si sviluppano allungando i rami bassi fino al suolo chiudendosi come dei ricci, formando come dei cuscini (pulvini). Lo scopo è duplice: esporre alla luce un apparato fogliare più esteso possibile e ombreggiare il suolo su cui vegetano perché  il terreno resti umido il più a lungo possibile.

Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.