Prendiamoci cura della Terra

IDENTITÀ: corpo femminile, corpo della Terra

Questo documento è il contributo che EARTH GARDENERS ha portato al “Network Day” della rete  REBEL  NERWORK, di cui fa parte, che si è tenuto a Rimini l’8 settembre 2018.  Le immagini sono tratte dal Power Point che ha accompagnato l’intervento.

“T’insegneranno a non splendere. E tu splendi, invece.”   (Pier Paolo Pasolini)

 

La nostra visione

Siamo animali culturali usciti dalla logica evolutiva ambientale fisica. La “naturalità” con cui ancora dobbiamo fare i conti sono il nostro corpo e la nostra psiche. Non siamo ancora riusciti a capire in che misura la psiche è plasmata dalla cultura appresa o dalle pulsioni endogene, figlie della nostra evoluzione naturale. Probabilmente alcune risposte potranno venire dall’epigenetica, disciplina ancora giovane perché legata a tecnologie molto complesse.

La cultura nata dalle nostre mani dotate di pollice opponibile e dal nostro cervello, divenuto capace di elaborare pensiero sempre più articolato e profondo, ha fatto sì che la sociologia prendesse il posto della zoologia nella definizione della nostra specie.

Se la strada dell’umanità e dei suoi popoli si identifica con quella della sua cultura o delle sue culture, che in epoca di globalizzazione si stanno appiattendo in una sola guidata dai mercati, se (com’è dimostrato) tutte le culture sono frutto di elaborazione maschile, noi donne non esistiamo. Quando pretendiamo di esistere ci ammazzano. Ci ammazzano quando ci fanno credere di valere solo per il nostro aspetto; ci ammazzano quando sfruttano il nostro lavoro pagandolo meno; ci ammazzano quando decidono se il nostro corpo deve produrre figli o piacere; ci ammazzano con coltelli, pistole e accette quando ci rifiutiamo di essere “possedute”.

Eppure, le prime forme culturali sono state prodotte dalle prime australopiteche raccoglitrici e in tutti i primati che differenziano l’utilizzo degli arti sono state le femmine le prime ad “alzarsi”, a sollevare gli occhi da terra. Le prime quindi ad avere col territorio che abitavano un rapporto di minore dipendenza, più culturale. Un rapporto intimo, che continua in modo un po’ inconscio nelle donne appartenenti a società meno tecnologiche, forse più consapevole nelle altre.

Donne che si rapportano alla terra e alla Terra per identità, per uguali capacità generatrici, per uguale bellezza. Per quelle capacità che le hanno rese oggetti di scambio, oggetti di possesso come e insieme alle terre da far fruttare. L’identificazione del corpo femminile con il corpo della Terra è evidente. Ad entrambe possiamo attribuire gli stessi aggettivi: violata, trascurata, ferita, deturpata, prosciugata, bruciata, sottovalutata, disprezzata, svalutata, usata, avvelenata, desiderabile, posseduta.

Da questa identità nasce la nostra certezza che il destino dell’una è legato alla sorte dell’altra, che la “questione femminile” e la “questione ambientale” siano legate a filo doppio. Che entrambe siano state generate da una cultura del possesso fortemente legata all’ancestrale animalità delle società umane guidate dai maschi.

La “liberazione” femminile iniziata a metà del secolo scorso, è ancora molto fragile e ha subito molti momenti di arretramento causati da crisi di incertezze e di angosce, caratteristiche del nostro tempo, che rivelano una profonda difficoltà conoscitiva fra i generi nella quale si può intravedere, ben più che andando alla ricerca della “aggressività” dell’uomo, una delle motivazioni più profonde della violenza: la violenza di chi ha bisogno di certezze.

Dobbiamo quindi riprendere il filo del nostro cammino di evoluzione sociale, con la consapevolezza che l’estensione del concetto di “natura umana” al genere femminile non può compiersi senza cambiare l’immagine simbolica della donna nella cultura. In questo senso diventa inutile etichettare questo tipo di società come “maschile” o maschilista”, perché è tutta la costruzione culturale che è opera degli uomini. Diventa quindi molto difficile operare per il cambiamento: come cambiare una cultura senza servirsi dei codici già elaborati e condivisi? Ma i codici non sono femminili: essi appartengono alla stessa cultura che deve essere cambiata.

I diffusi stereotipi che svalutano le capacità e l’importanza delle donne non hanno migliorato né il destino di queste, né quello delle società umane. Ma non offre molti vantaggi neanche l’altro mito, ossia quello che enfatizza la naturale innocenza della donna, il suo disinteresse per il potere e la sua disponibilità a cooperare e a dimostrarsi solidale con le altre donne. Femmine di tal genere non si sono mai evolute tra gli altri primati.” (Sarah Blaffer Hrdy)

La nostra proposta

Attualmente il governo del consesso sociale umano si regge esclusivamente sul potere dipendente dal possesso e dallo sfruttamento incondizionato di “oggetti viventi” quali le donne e i territori. Crediamo che l’umanità possa avere un futuro solo se riesce ad allentare le tensioni interne dovute ad interessi particolari divenute ormai tanto insostenibili da farla approssimare al suicidio.

Dobbiamo per questo cambiare codici e simboli della cultura in cui siamo immersi e in cui rischiamo di annegare. Arduo compito.

La possibilità della parità fra i generi nella specie Homo sapiens sapiens non è legata alla capacità di lotta e di riflessione delle sole donne. Gli uomini devono cominciare un serio e consapevole cammino di riflessione sulla loro storia e sul loro pensiero, lungo il quale le donne non devono assumere il ruolo di maestre o segretarie, ma di interlocutrici. Un cammino comune, in cui tentare di tenere fuori i ruoli che questa cultura ci assegna dalla nascita.

L’utilizzo massiccio dei media non lascia molti margini alle idee non coerenti con le logiche dominanti; riteniamo tuttavia che utilizzando le possibilità che la tecnologia ci mette a disposizione, possiamo produrre materiali che stimolino riflessioni e che siano pensati per raggiungere entrambi i generi.

L’educazione delle nuove generazioni è sempre più affidata ad ambienti esterni alla famiglia e alla scuola. I social media ci descrivono i giovani come a volte confusi, piuttosto ricettivi, poco capaci di pensiero profondo ma estremamente sensibili. E’ a loro che vorremmo indirizzare i nostri sforzi: solo loro possono rendere possibile il cambiamento dei codici e dei simboli che hanno incatenato donne e territori ad una logica che sta conducendo l’umanità verso il baratro.

Facciamo appello a chi, insieme a noi, voglia intraprendere questo itinerario che speriamo stimolante, interessante e (perché no?) divertente. EARTH GARDENERS metterà a disposizione le sue competenze scientifiche e multimediali, e voi?

Crediti

Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.