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Plastica per alimenti? No, grazie! Nuove soluzioni ecosostenibili per il packaging alimentare

Per definire l’era corrente è stato proposto il termine “Plasticene”: in tutto il mondo frammenti di plastica vengono continuamente rilevati in oceani, suolo, sedimenti e aria. Giusto per avere un ordine di grandezza, secondo un recentissimo studio condotto dall’Università di Pisa, la quantità di microplastiche sulle spiagge italiane potrebbe essere pari a 1.000/2.000 tonnellate.

La produzione di plastica mondiale ha ormai superato i 320 milioni di tonnellate, e purtroppo questo dato non è destinato a diminuire, anzi ci si aspetta che raddoppi entro i prossimi 20 anni. La situazione si mostra ancora più grave se consideriamo che meno del 30% di questi materiali viene riciclato, mentre la restante parte finisce in discariche o peggio ancora viene disperso nell’ambiente.

La plastica è  un materiale estremamente versatile, che trova impiego in tantissime applicazioni, tra cui una delle principali è la realizzazione di quelli che vengono generalmente definiti “Materiali e Oggetti a Contatto con Alimenti (MOCA)”, cioè tutti quei materiali realizzati per stare a contatto con gli alimenti, come appunto imballaggi, contenitori, stoviglie, posate, piatti, attrezzi da cucina, etc.

I materiali maggiormente utilizzati sono polietilene (PE), polipropilene (PP), polietilentereftalato (PET) e Polistirene (PS). Bisogna però considerare che, nel processo produttivo dei MOCA entrano in gioco numerose sostanze, ciascuna con una funzione ben precisa nel determinare le caratteristiche tecnologiche del prodotto (resistenza, colore, trasparenza, leggerezza, etc) ma anche talvolta il potere inquinante e il grado di tossicità del materiale stesso.

Infatti se da un lato il packaging è un elemento fondamentale per la produzione e la distribuzione di alimenti, d’altra parte può diventare una sorgente di contaminazione, poiché alcune sostanze chimiche possono migrare dai materiali nei cibi o nell’ambiente.

La migrazione è appunto il fenomeno per cui si osserva il trasferimento di sostanze chimiche (migranti) dal MOCA nell’alimento stesso. Tale fenomeno deve essere quantificato al fine di valutare i potenziali rischi di esposizione del consumatore ai “migranti”. La comunità scientifica si occupa da anni di questa problematica, poiché tali sostanze possono non solo modificare la qualità organolettica dell’alimento, con odori o sapori sgradevoli, ma addirittura possono renderlo pericoloso per la salute, soprattutto se consideriamo le categorie di consumatori più sensibili (neonati, bambini, anziani, etc). A migrare possono essere infatti additivi, impurità della sostanza, residui di sintesi, prodotti di degradazione etc., tutte sostanze che talvolta possono essere cancerogene, genotossiche o interferire col sistema endocrino.

Un esempio in questo senso, probabilmente, responsabile di numerose patologie è il bisfenolo A (BPA), componente primario del policarbonato, utilizzato per produrre vuoti a rendere, biberon, etc e delle resine epossidiche, impiegate ad esempio per rivestire l’interno delle lattine.

 

La legislazione europea che disciplina i materiali a contatto con gli alimenti è estremante rigida, e prevede che tutti i materiali destinati ad entrare in contatto col cibo siano realizzati in conformità con quanto previsto dai regolamenti comunitari, affinché l’eventuale migrazione di sostanze chimiche dai MOCA agli alimenti non comporti timori per la sicurezza.

Fortunatamente si stanno diffondendo sul mercato delle valide alternative ai materiali plastici da utilizzare come MOCA, che siano compostabili, biodegradabili e riciclabili. Un esempio sono i packaging realizzati a partire da fibre vegetali (es. giunco, bamboo, canna da zucchero, mais…) ma anche da fibre fungine o derivate dalla chitina, polisaccaride alla base della struttura di insetti e crostacei.

L’impiego di materiale edibile per rivestire i prodotti alimentari, svolgendo la funzione di involucri naturali, è un’altra interessante soluzione, che permette di proteggere l’alimento con un rivestimento commestibile, in genere di materiale polisaccaridico, che talvolta viene arricchito con componenti in grado di prolungare la shelf life del prodotto (es antimicrobici, antiossidanti, etc). Recentemente si è parlato molto di “Ooho”, cioè bolle grandi come palline da golf completamente commestibili, costituite da una membrana gelatinosa e da alginato di sodio (alghe marine e cloruro di sodio) e capaci di contenere un liquido (ad esempio acqua).

Accanto agli imballaggi organici però si assiste anche ad un cambiamento nell’atteggiamento del consumatore che spesso cerca di acquistare prodotti sfusi o con packaging ecosostenibile; questo anche grazie alla diffusione di piccoli punti vendita – “ecobotteghe”- o negozi in franchising che permettono ai consumatori di acquistare alimenti e prodotti d’uso comune sfusi e quindi senza l’imballaggio.

Un segnale estremamente positivo, dopo il bando sui sacchetti entrato in vigore nel 2012, è il provvedimento adottato nel Parco Nazionale del Gargano, grazie al quale dal 1 maggio 2018 alle Isole Tremiti, è vietato l’impiego di contenitori o stoviglie non biodegradabili, il prossimo stop sarà per bottiglie e polistirolo.

La Commissione Europea recentemente ha proposto l’adozione da parte dell’Unione di una direttiva che metta al bando almeno i prodotti usa e getta, che potrebbe essere approvata entro la fine del 2018: in base a questa nuova regolamentazione, entro il 2030 si potrà usare solo materiale riciclabile.

……….E allora diamoci una mossa!

 

Bibliografia

Crediti

Autore: Chiara Sanmartin. Ricercatrice in Tecnologie Alimentari presso l’Università degli Studi di Pisa. Titolare del corso di “Composizione e Analisi dei prodotti alimentari” nell’ambito del Corso di Laurea Magistrale in “Biosicurezza e qualità degli alimenti” – Interdipartimentale Scienze Agrarie e Scienze Veterinarie di Pisa.