Prendiamoci cura della Terra

Il nido degli uccelli

Quattro piccoli merli (Turdus merula) attendono l’imbeccata di uno dei genitori, in un nido fatto di rametti e fango costruito nel folto di una siepe. Foto Gerhard G. da Pixabay.

Solitamente il nido degli uccelli è una costruzione con caratteri specifici finalizzata al comportamento riproduttivo. Spesso lo si trova nel territorio del maschio e può essere così il centro delle sue attività in ogni stagione. Altre volte è qualcosa di effimero, fatto giusto per deporre le uova, covarle e poi andarsene seguiti dagli anatroccoli come per gli Anatidi. Altre ancora è una casa dove tornare, come per i colombi, le rondini o i rondoni e l’elenco potrebbe continuare a lungo. Il termine inglese di home, da cui homing ossia “ritorno a casa”, lo sottolinea a meraviglia.

Il nido è sopratutto una risorsa preziosa e non è mai posto a caso, ma ogni specie è caratterizzata da un proprio habitat di nidificazione, ricercato, scelto, difeso nella competizione con i conspecifici.

Qualcuno ha evolutivamente scelto di non averne uno proprio, ma di sfruttare quello degli altri. Assistiamo così al così detto parassitismo di cova, di cui un esempio è il cuculo…che non è certo l’unica specie ad aver scelto un tale comportamento. Come detto in apertura, il nido ha caratteri specifici e non esistono due specie che costruiscano nidi identici.
Ad un osservatore esperto basta uno sguardo per conoscerne l’autore: forma, struttura e posizione sono chiare ed univoche indicazioni di chi lo abita. I nidi variano dal niente più assoluto, se non una piccola depressione sul terreno come il fiero occhione o la biforcazione di un ramo come la tropicale sterna bianca, ai fini intrecci a mo’ di sacca dei tessitori africani o al leggero fiaschetto del nostrano pendolino, sospeso sull’acqua ad un ramo di salice.

Una roccia a picco sull’oceano Atlantico ospita una colonia di marangoni dal ciuffo (Phalacrocorax aristotelis). I nidi sono rappresentati da piccole mensole della roccia. La capacità dei pulli a rimanere attaccati alla roccia e non finire in acqua, è un severo fattore selettivo di questa specie. Foto di Natalia Kollegova da Pixabay.

Del tutto variabili sono pure le dimensioni. Certi colibrì costruiscono nidi di appena un centimetro di diametro; non per niente scambiai, al mio primo incontro, quelle specie… per calabroni. Ma restai di sasso negli sconfinati boschi dell’Estremadura quando mi trovai davanti, su di un’enorme quercia, al nido di uno degli ultimi avvoltoi monaco di quella terra: un informe cumulo di rami e sterpi che misurava quasi tre metri di diametro, costituito da più quintali di materiale accumulato. Ma questo è ben poco se paragonato alle costruzioni dei megapodi australiani, come il tacchino di boscaglia che usa il calore di vegetali in fermentazione per covare le uova.  Queste sono deposte su un grosso mucchio di foglie marcescenti raccolte dal maschio, poi ricoperte di sabbia fino a formare un cumulo che si alza per 5-6 metri ed ha una base che sfiora i 15. All’estremo opposto ci sono i pinguini, che del nido hanno imparato a far senza, portandosi dietro l’unico uovo che depongono sulle zampe, dove la pelle calda e le penne dell’addome si accostano a formare un manto protettivo dai rigori dei ghiacci.

La cicogna bianca (Ciconia ciconia) costruisce nidi molto grandi che possono superare i due quintali di peso. Come nel caso di altri migratori, tornano allo stesso nido e ogni anno lo riparano e lo ampliano. L’anello posto nella parte alta della zampa permette di leggerlo più facilmente e controllare se su quel nido è tornata la stessa coppia. Foto Mabel Amber da Pixabay.

Il tipico nido globoso forgiato a coppa, proprio di tante specie terrestri, è a sua volta un capolavoro di solida costruzione in cui entrano fili d’erbe, sottili ramoscelli, eterei pappi vegetali, peli o ragnatele finemente intrecciati, spesso cementati da saliva o col fango. La loro trama è a volte lassa, altre strettamente intrecciata, quasi polita, di maggiore o minore profondità e intrinseca solidità. Anche qui non posso tacere di un nido di verdone che incontrai in Sardegna sul Montiferru: la coppa circolare e profonda, senza un filo della trama fuori posto, non appariva nemmeno costruita d’erbe… non per nulla mi venne in mente il Cellini, famoso orafo fiorentino, tanto era in sé perfetta!

Molte di queste mirabili costruzioni si trovano spesso a un passo da noi, nascoste nei nostri giardini o nei parchi urbani dove cince, pettirossi, capinere o codibugnoli pongono la loro dimora attirati da questi nuovi habitat. Mi voglio appena soffermare su uno di essi: il piccolo scricciolo che è maestro nel fare il suo nido, come celebrato dal Bacchi della Lega, ornitologo del passato: “Potenza di un dio che riunisce in questa creaturina l’abilità del tessitore, il genio di un architetto, il cuore di un capo di famiglia, l’avvedimento di un saggio!” Lo pone nelle situazioni più varie, naturali e non, ma sempre ben riparate: una buca del terreno, una spaccatura d’albero, l’ anfratto di una casa diroccata,  una capanna di boscaioli, nidi abbandonati da altre specie come la rondine e, perché no, nella tasca di una vecchia giacca appesa in un garage o nel vano motore di un’auto abbandonata. La forma è globulare, a più strati, che se all’esterno pare un ammasso di foglie secche, rivela più all’interno l’intreccio accurato di fine materiale vegetale, muschio, pappi, ragnatele, a morbido supporto per le uova che verranno. Di lato lascia un rotondo foro d’ingresso in cui a stento penetra un dito, riparo sicuro da predatori ed intemperie. Fatto cruciale per una specie di minuta massa corporea , facile a perdere calore e dunque di alto valore adattativo. Ne costruirà diversi, sparsi nel suo territorio con funzioni varie, sia per accogliere le diverse femmine del suo harem, se in fase poliginica,  che come rifugi temporanei: se le femmine sono in cova, non vuol certo restare all’addiaccio di notte.

Uno scricciolo (Troglodytes troglodytes) ha deciso di costruire il suo nido in una lampada a forma di rete posta sotto il soffitto di una veranda: la giusta distanza da gatti e ratti e la vicinanza ad una lampada che si accende di notte e aiuta nella termoregolazione. Osservando il foro di ingresso si nota la presenza dei materiali più soffici che ne foderano la parte interna. Foto Anna Lacci.

Di particolare validità come protezione e termoregolazione sono i nidi in cavità di alberi o quelli che le specie riescono a scavare su pareti di terra ed anche al suolo. Il nido in cavità è tipico dei picchi, che riescono a scavarlo a forza di becco nel tronco di vetusti alberi, ma tante altre specie hanno un simile habitat di nidificazione. Tra queste le balie, passeriformi migratori su lunga distanza che dall’Africa vengono a nidificare in Europa. In tali piccole specie che non scavano, i buchi adatti sono un’importante risorsa non a disposizione di tutti. C’è così una grande competizione per accaparrarsene uno, tanto che spesso i giovani ne restano esclusi, perchè chi primo arriva, bene alloggia. Una tale pressione selettiva è stata forse il motore di una particolare forma dell’ala dei maschi adulti che permette loro una velocità di migrazione maggiore dei giovani.

Nelle cave di marmo bianco delle Alpi Apuane (foto sopra), il gracchio corallino (Pyrrhocorax pyrrhocorax) nidifica nonostante il disturbo acustico, dimostrando una eccezionale facilità di convivenza con l’uomo. Foto Alessandro Bizzarri.
Nido di gracchio alpino (Pyrrhocorax graculus) situato nel fondo di un inghiottitoio carsico delle Alpi Apuane. La foto sopra riproduce la bocca dell’inghiottitoio. Foto Alessandro Bizzarri.

Certamente più comoda la vita per gruccioni, martin pescatori o rondini riparie, a cui non mancano argini ed altri luoghi dove scavare i loro lunghi tunnel-nido. I martin pescatori, territoriali e di indole solitaria, li scavano ben lontani l’uno dagli altri, mentre gruccioni e rondini riparie sono più sociali, formando piccole e grandi colonie di nidificazione. Ne ricordo alcune vicino Parma, che contavano fino a 3000 nidi di rondine riparia, lungo i banchi di sabbia del fiume Taro.

Coppia di gruccioni (Merops apiaster) che si appresta a scavare il nido sulla parete scoscesa della ripa di un fiume. Foto Mara Pasqual da Pixabay.

Le capacità ingegneristiche dei Ploceidi, piccoli uccelli africani e dell’Asia meridionale simili a passeri, sono ben note, tanto da essere conosciuti come tessitori, intessendo i loro nidi con lunghe fibre vegetali disposte in modo analogo alla trama ed all’ordito di un tessuto. Il nido finito è simile ad una palla o ad una fiasca sospesa ai rami di un albero o tra le canne e le alte erbe della savana, spesso in colonie di milioni di individui come per le africane Quelea. Le specie che si servono di striscioline di foglie di palma come il Tessitore Gendarme, praticano un’incisione in una foglia, prendendone poi un’estremità nel becco, si alzano in volo strappandone così una striscia. La loro tecnica costruttiva si basa sull’abilità di tenere fermo con la zampa la strisciolina, annodando, avvolgendo o intrecciando l’altro capo con il becco ad altri fili o ad un ramo. Per la costruzione, tutto inizia con il maschio che realizza un anello assicurato a dei rami; usandolo come posatoio inizia a chiuderlo da un lato tessendo la camera di incubazione. Dall’altro lato tesse la parete con il foro o il tunnel d’entrata, a seconda delle caratteristiche delle varie specie.

I complicati nidi del tessitore del capo (Ploceus capensis) che vive a Western Cape (Sud Africa). Foto Juanita Mulder da Pixabay.
Il pendolino (Remiz pendulinus) costruisce il nido usando quasi esclusivamente pappi di pioppo. Qui lo vediamo mentre si invola dal suo nido sospeso sull’acqua legato ad un salice. Foto Ralf Ottmann da Wikimedia.

Difficile, anche in un breve escursus come questo, dimenticare il caso del fornaio rosso, l’uccello nazionale argentino, che usa un misto di fango e sterco di bovini per costruire un globo di quasi cinque chili di peso, duro come la pietra, con un foro d’entrata che lo fa sembrare un piccolo forno, da cui il nome della specie “el hornero”. Quasi ogni palo telefonico ne ospita uno, lungo le solitarie strade delle pampas.

Il fornaio rosso (Furnarius rufus) sorveglia l’imboccatura del suo nido dal raffinato design. Foto Charles J: Sharp da Wikimedia.

Certamente un nido ben intessuto è una sicurezza per le uova che ci dovranno finir dentro, ma non tutte le specie sono arrivate a questa meta evolutiva. Un po’ tutte quelle che nidificano a terra (gabbiani, oche, anatre, uccelli di ripa) hanno nidi molto semplici o si accontentano di una depressione del terreno. In tal caso è facile per l’uovo scivolarne fuori con il conseguente rischio di non essere più covato. Come risposta adattativa queste specie hanno evoluto un meccanismo innato di recupero dell’uovo, basato su di un comune pattern motorio, identico per tutte le specie che lo praticano. Fu un certo Konrad Lorenz che con Niko Tinbergen ne misero in evidenza le caratteristiche di innatività istintuale in una delle più belle pagine della Etologia.  

Il nido dei gabbiani reali (Larus michahellis) è costituito da pochi rametti appoggiati al suolo. Questo il motivo, oltre alla capacità di nutrirsi di qualsiasi alimento, per cui negli ultimi anni riescono facilmente a nidificare sui tetti della maggior parte delle città. Foto Ramon Perucho da Pixabay.
Questa femmina di germano reale (Anas platyrhynchos) ha deciso che un copertone potesse aiutare a tenere al sicuro le sue uova. Un esempio di riutilizzo. Foto Domenic Blair da Pixabay.

Crediti

Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.