Prendiamoci cura della Terra

I frutti di Maggio

Maggio è noto come il mese delle rose, delle rose sia selvatiche che coltivate. Sui margini dei boschi splendono tralci di Rosa canina, mentre giardini, balconi, muri si colorano di corolle profumate sapientemente selezionate da giardinieri di tutto il mondo.

Ci sono però anche specie appartenenti alla stessa famiglia delle rose che in questo mese ci offrono già dei frutti perché hanno iniziato a fiorire molto prima. Parliamo della Fragola di bosco (Fragaria vesca) e del Ciliegio selvatico (Prunus avium).

La Fragola di bosco (Fragaria vesca) inizia la sua fioritura già dalla fine di marzo, così i primi giorni di maggio possiamo cominciare a gustare le piccole, profumate e dolci fragoline di bosco. Le fragole crescono prevalentemente nei boschi di caducifoglie e fioriscono mentre il sole le illumina, prima che le nuove foglie formino la volta verde che ombreggia il terreno proteggendolo dall’eccessiva evaporazione.

Fragola di bosco (Fragaria vesca). Foto di Patrizia Ferrari.

La Fragola è una pianta erbacea perenne cosmopolita, cioè presente in quasi tutte le zone del mondo, tanto da essere citata nella Bibbia, nei poemi, nelle favole mitologiche e nei più antichi trattati di medicina e botanica. In Italia, oltre che nei boschi la troviamo in tutti i luoghi erbosi dove il terreno è fresco, piuttosto acido con un’esposizione soleggiata o di mezz’ombra. Rara nelle basse regioni mediterranee, cresce copiosa nelle zone submontane e montane fino a 1600 m di altezza; raramente può arrivare ai 2.400 m.

Dobbiamo sottolineare che la fragola che gustiamo è un falso frutto o frutto aggregato: i veri frutti sono quei “semini” gialli che si trovano sulla sua superficie. Il fiore della fragola ha più pistilli, ognuno dei quali, dopo la fecondazione, forma un achenio, ovvero un frutto secco che non si apre quando è maturo e che contiene un solo seme. La polpa rossa non è altro che il ricettacolo ingrossato del fiore che viene utilizzato per colonizzare luoghi lontani: i piccoli acheni mangiati insieme alla polpa vengono poi disseminati con le feci lontano dalla pianta madre.

Come le atre specie del genere Fragaria può contare, oltre che sulla riproduzione sessuata, anche su quella asessuata, ma per questa strategia evolutiva adottata dalla Fragola di bosco vi rimando alla lettura del bellissimo articolo di Maria Beatrice Lupi https://www.earthgardeners.it/2024/05/03/la-strategia-della-fragola/

Il Ciliegio selvatico (Prunus avium) è stato fonte di nutrimento per la nostra specie per migliaia di anni. Nòccioli di ciliegie sono stati trovati in depositi archeologici appartenenti a insediamenti dell’età del bronzo in diversi luoghi d’Europa, inclusa la Britannia. Macrofossili di ciliegio selvatico sono stati rinvenuti nei pressi della riva meridionale del Lago di Garda, tra i detriti di un villaggio di Palafitte risalenti alla prima età del bronzo (circa 2000 a.C.). L’essere stato diffuso dall’uomo in tempi antichissimi rende arduo definire l’areale del ciliegio selvatico. Si pensa che sia originario dell’Asia occidentale ma forse anche dell’Europa centrale e nord occidentale. I molti resti fossili e archeologici indicano che nella regione mediterranea sia stato raro allo stato spontaneo. Ora si trova in tutta Europa: a ovest raggiunge il nord della penisola iberica; a nord Inghilterra, Danimarca, Svezia e Norvegia; a est le pianure del Don e, con areali frammentati, il Caucaso e l’Anatolia settentrionale; a sud la Grecia e le montagne di Tunisia e Algeria.

Frutti di Ciliegio selvatico (Prunus avium). Foto di Graziano Propetto.

In Italia è presente su tutto il territorio dalle zone altocollinari sino a quelle montuose, spontaneo su suoli tendenzialmente sub-acidi al nord, dal piano nell’orizzonte delle latifoglie eliofile (che amano il sole), fino all’orizzonte montano delle latifoglie sciafile (che vivono in posizione ombreggiata).
Per espandersi naturalmente necessita di un ambiente e di un microclima forestali stabili nel tempo. I ciliegi nati in gruppo all’interno di boschi e foreste sono molto appetibili per i grossi erbivori.
Il motivo per cui in un’area forestata non troviamo mai, in pratica, un Ciliegio selvatico solitario è duplice. Da un lato è una pianta poco longeva che difficilmente supera i 100-150 anni; dall’altro è una specie autoincompatibile: i suoi fiori per fruttificare hanno bisogno di polline proveniente da altre piante della stessa specie.

I frutti, eduli, maturano un paio di mesi dopo l’impollinazione; sono drupe tonde di circa 1 cm dolci e succose, di colore rosso cupo, molto ricercate dai mammiferi e dagli uccelli. Per questo alla specie è stato dato il nome avium, che significa “degli uccelli”.
Assieme al Prunus cerasus  è una delle due specie di ciliegio selvatico che sono all’origine delle varietà di ciliegio coltivato che vanno dal Graffione bianco piemontese al Durone nero di Vignola, dal Bigarreaudi Conversano alla Ciliegia Ferrovia di Terra di Bari.
La specie è pregiata anche per il suo legno molto ricercato in ebanisteria per costruire mobili intarsiati e strumenti musicali, perché facilmente lucidabile e rifinibile.

Corteccia di Ciliegio selvatico (Prunus avium). Foto di Graziano Propetto.

Passeggiando in un bosco, anche quando non sono i frutti rossi a segnalarci la sua presenza, è la corteccia che ci fa distinguere facilmente il tronco di un Ciliegio:da giovane è liscia, rossastra e grigia, con fasce orizzontali segnate da numerose lenticelle allungate, anch’esse orizzontali; con l’età diviene rosso-bruna scura con grosse lenticelle allungate e appiattite orizzontalmente.

Al contrario delle due specie appena descritte, il frutto dell’Uva di volpe (Paris quadrifolia) è talmente velenoso da poter risultare mortale; anche il resto della pianta è tossico perché contiene diverse sostanze pericolose, tra cui i glucosidi paridina e paristifina, e inoltre paridolo, asparagina e resine. Il nome volgare potrebbe far credere che sia cibo per volpi e alcuni autori “da tastiera” sostengono questa tesi fantasiosa: la pianta è certamente velenosa per i cani e quindi è poco verosimile che sia buon cibo per le volpi!

Piante di Uva di volpe (Paris quadrifolia). Foto di Aldo De Bastiani.

Questa specie euroasiatica appartiene alla famiglia delle Melanthiaceaeed è presente in Europa dal nord fino alle regioni mediterranee. In Italia è presente in tutto il territorio nazionale eccetto Sicilia, Puglia e Basilicata. Nella Pianura Padana è ormai estinta a causa della distruzione degli habitat boschivi.
Vive in tutti i boschi umidi di latifoglie e conifere, in posizioni ombreggiate dalla pianura fino 2000 metri di quota. È però una pianta rara, tanto che in alcuni territori viene considerata un indicatore biologico.

Sezione di una bacca di Uva di volpe (Paris quadrifolia). Foto di Aldo De Bastiani.

Il frutto di questa specie è una bacca nero-bluastra quasi sferica, della grandezza di una ciliegia; ha 4 logge che ospitano 8 semi ovoidali. Anche se ogni pianta porta una sola bacca, l’Uva di volpe può fiorire più volte in un anno. I frutti iniziano a maturare in maggio e continuano fino ad agosto inoltrato.

Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.