Prendiamoci cura della Terra

È tempo di migrare!

SETTEMBRE, andiamo.
E’ tempo di migrare.
Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori
lascian gli stazzi e vanno verso il mare:
scendono all’Adriatico selvaggio
he verde è come i pascoli dei monti.
I Pastori – Gabriele. D’Annunzio

Avocette (Recurvirostra avosetta L., 1758)- Foto di Georg Wietschorke

La transumanza è vera migrazione, un comportamento di regolare pendolarismo tra due luoghi differenti per condizioni climatiche e di habitat, dettato dalla necessità di sfuggire ai rigidi inverni montani cercando altrove il pascolo per le proprie greggi. 

Non senza sorpresa ci si accorge allora che D’Annunzio in questa prima strofa de “I Pastori” tratteggia del tutto inconsciamente una definizione ideale del fenomeno migratorio, quale è oggi inteso. Infatti i suoi caratteri propri e distintivi da altri fenomeni di movimento sono la temporalità (andiamo è tempo di migrare), il movimento (lascian gli stazzi) e soprattutto una definita direzionalità (e vanno verso il mare). Comporta inoltre un cambio di habitat specifico (scendono all’Adriatico selvaggio). La sorpresa è maggiore allorché si pensi che gli addetti ai lavori per accordarsi su di una definizione accettabile di migrazione hanno riempito pagine e pagine d’inchiostro!

Il fattore tempo gioca nella migrazione un ruolo fondamentale, tanto che nei migratori è scandito in modo continuo da un oscillatore endogeno, un orologio biologico, del tutto autonomo da elementi esterni, sebbene abbia la possibilità di sincronizzarsi con alcuni di essi per mantenere un legame necessario con l’ambiente. Negli uccelli ad esempio, il tempo endogeno è sincronizzato con il variare della lunghezza del dì, elemento che cambia stagionalmente determinando l’insorgere della “disposizione migratoria” in primavera ed autunno. Ma in situazioni equatoriali di astagionalità, l’elemento sincronizzatore diviene la stagione delle piogge.

Sempre negli uccelli, il senso endogeno del tempo è funzionalmente legato anche ad altre importanti fenomenologie, quali la maturazione delle gonadi,  e dunque l’induzione della ciclicità riproduttiva, o la muta stagionale delle penne, così da avere un piumaggio nuovo ed efficace per sostenere lo spostamento migratorio.

Riguardo a quest’ultimo, la migrazione è un fenomeno di massa che coinvolge intere popolazioni che si muovono all’unisono, anche se ci ci può spostare in folle , in piccoli gruppi o singolarmente. Il cambio di habitat è più marcato in quelli che si muovono su grandi distanze, tra regioni o continenti lontani, come le specie europee che volano a sud del Sahara, svernando nelle savane o nelle foreste equatoriali, con una variazione significativa delle abitudini e strategie alimentari. Nel caso di quelle che rimangono nell’area mediterranea, il cambio di habitat è meno drammatico ma per questo non certamente banale.

Rondine comune ( (Hirundo rustica L., 1758)) Foto di Kev da Pixabay
In inverno le rondini europee migrano in Sud Africa volando per 11.000 km riunite in enormi stormi.

Per ciò che riguarda la direzionalità, il problema è complesso toccando due aspetti differenti: primo,  la scelta  della rotta di involo sia nella migrazione autunnale post riproduttiva che in quella pre riproduttiva; secondo, il controllo della direzione di rotta durante il volo.

Per entrambe si tratta di un problema bussolare, in quanto è una bussola che permette di scegliere e mantenere una direzione spaziale, così come accade nei nostri spostamenti. La domanda è allora questa: gli animali posseggono una bussola? E quale è il sistema di riferimento? La risposta è non una ma molte bussole!

Prendiamo il caso degli uccelli, il più studiato. Per orientare i propri spostamenti i signori dell’aria, nati per volare hanno a disposizione tre tipi di bussola: solare, stellare e magnetica. I sistemi di riferimento sono, come dice il nome, la posizione del sole, l’asse di rotazione della volta celeste, centrato sulla posizione della stella polare e la percezione del campo magnetico terrestre. Quest’ultima è una capacità di natura innata, tanto che giovani uccelli di poche settimane di vita sanno orientarsi con stimoli magnetici nei loro spostamenti. Le altre due, di natura visiva, debbono essere invece apprese in età precoce (entro 2-3 mesi di vita) con la osservazione del movimento apparente del sole e del pattern di rotazione della volta celeste intorno alla polare. Inoltre, e qui torna in gioco il fattore tempo, la solare è detta cronometrica poiché per una corretta lettura necessita di un senso del tempo: se voglio andare in sud a mezzodì devo volare contro sole, ma bisogna che sappia quando è mezzodì…

Per quanto ci dicono i test sperimentali condotti fin dall’inizio dello scorso secolo, la bussola più comunemente presente nei vertebrati ed invertebrati è quella solare, posseduta da formiche ed api, da anfibi, rettili e mammiferi, con un identico sistema di lettura. La stellare è posseduta dagli uccelli che migrano di notte, mentre una sensibilità al campo magnetico si sta ritrovando in un numero sempre crescente di specie, ma grandi migratori come le tartarughe marine paiono farne a meno. Certamente non bisogna dimenticare che anche la luna può essere un sistema di riferimento bussolare per i piccoli crostacei delle rive marine, come dimostrato dai nostri primi etologi Leo Pardi e Floriano Papi.

Pettirosso (Erithacus rubecula, L.1758) Foto di Manfred Richter da Pixabay.
Piccolo e grazioso frequentatore dei nostri giardini invernali, è il migratore notturno più studiato.

Ma possedere una bussola non serve a nulla se non si sa dove andare… e questo è il problema chiave della migrazione. Chi suggerisce ad un pettirosso od una capinera nata in estate quale direzione prendere per raggiungere i territori di svernamento? Soprattutto se i genitori se ne sono andati da tempo lasciandoli in balia di se stessi?!? Quando Peter Berthold vide  piccoli di capinere nate in incubatrice, che mai avevano avuto contatti con i genitori ed allevate poi a mano nel chiuso di una voliera, entrare in uno stato di disposizione  migratoria nel giusto periodo della migrazione autunnale e farlo per un periodo corrispondente alla distanza che avrebbero dovuto coprire se libere, per di più in una direzione corretta a seconda della loro popolazione di provenienza, certamente capì di aver trovato la soluzione di un mistero. L’informazione chiave della migrazione era affidata ai geni, certamente il posto più sicuro che la natura sapesse trovare.

Capinera (Sylvia atricapilla Linnaeus, 1758)
Foto di Bernard Fleurandeau da Pixabay.

Crediti

Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.