Personalmente un lupo in libertà non l’ho mai incontrato; ne ho percepito la presenza dalle tracce lasciate sulla neve o dagli escrementi distribuiti qua e là nelle zone di presenza ed oggi dagli scatti delle foto trappole. Diverse volte li ho invece potuti ammirare in recinti faunistici…ma questa è un’altra cosa. Un fatto tra l’altro che non posso condividere: pur grandi, i recinti son sempre prigioni. La costrizione di un animale come il lupo, socialmente organizzato, che si muove su ampi spazi, un predatore nobile e altero, forte ed ardito, ecologicamente rilevante, questa no, non posso capirla.

Son passati giusto 50 anni da quando mi alzavo di buon’ora per per portar loro il cibo assieme al guardaparco responsabile del recinto che li ospitava a Villetta Barrea nel Parco d’Abruzzo. Quel gruppo di lupi arrivava guardingo nei pressi del cancello del recinto sempre nello stesso ordine, sempre con lo stesso atteggiamento di chi, nonostante tutto, sembrava non fidarsi della mano che li nutriva: lupi non cani, lupi…e guardatevi le spalle…Questo era quello che mi trasmettevano con i loro occhi inquieti.
Cinquant’anni fa i lupi erano una specie di chimera: arrivati da noi nell’ultima fase del Pleistocene (Aureliano), alla fine dell’ultima glaciazione quaternaria assieme alla lince, lo stambecco, l’orso bruno, avevano portato segni di modernità alla nostra mammalofauna, convivendo con le ultime presenze di faune più antiche ormai in estinzione ed anche con l’uomo cacciatore/raccoglitore. Purtroppo quando quest’ultimo divenne agricoltore/allevatore un astuto e ed organizzato predatore come il lupo non ebbe molta fortuna, divenendo nel tempo uno scomodo competitore da cui guardarsi. Le porte dell’Antropocene (il periodo geologico attuale) si aprirono così per lui sotto una cattiva stella.
Timori e pregiudizi, realtà e fantasia, fecero sì che anche gli zoologi del 19° secolo lo descrivessero in termini tanto melodrammatici quanto esagerati: “Gl’istinti sanguinarj sussidiati da adeguate armi, per cui riunito a torme fa orribile strage di animali domestici, resero e rendono terribile quest’animale che a poco a poco andò diminuendo assai…animale a cui si è fatta una guerra implacabile favorita dai premj offerti dalla legge a chi uccideva alcuni di essi”. Così si esprimeva Emilio Cornalia nel Catalogo descrittivo dei Mammiferi osservati fino ad ora in Italia. Fauna d’Italia. Vallardi, Milano. 1873.
Ma cosa ci si poteva aspettare da uno dei più evoluti predatori? La dorsale appenninica e quella alpina costituivano il suo primitivo habitat, espandendosi ovunque nel bioma delle caducifoglie temperate con scorribande anche in pianura, laddove protetto da grandi foreste, veri corridoi ecologici che ne favorivano la presenza. Sono ancora ricordate le predazioni fatte dai lupi nei dintorni di Torino (1816) e presso Pavia (1811), qui veicolati dall’asta del fiume Ticino.
Il periodo più buio
Dall’Ottocento inizia in modo massiccio il processo di rarefazione del lupo, accompagnato da innumerevoli eventi di estinzione locale. Del fenomeno sono responsabili fattori antropici che agiscono in sciagurata sinergia: da un lato un diffuso fenomeno di frammentazione e distruzione degli habitat boschivi, dall’altro un’azione diretta di persecuzione. Un fatto quest’ultimo partito da molto lontano, a causa delle predazioni di animali domestici che hanno alimentato una immagine di “lupo cattivo” come ben esemplificato dalle parole della scienza dell’epoca (vedi sopra). Come dire l’effetto “cappuccetto rosso” con la fine che il lupo fa nella favola. È questa un’escalation prolungata per cui la popolazione di lupo scompare dalle Alpi e sopravvive, benché decimata, in sperdute localizzazioni appenniniche. Il fondo è stato raggiunto.

Società Italiana per la Storia della Fauna, Public domain, via Wikimedia Commons.
Le stime di popolazione fatte all’inizio degli anni settanta del ‘900 sono un campanello d’allarme troppo forte per non essere ascoltato. Luigi Boitani, allora un giovane zoologo romano, ne fa la valutazione popolazionistica più credibile: qualcosa in meno di 100 individui distribuiti in gruppi geograficamente isolati sulla catena appenninica in Abruzzo e più a sud sui rilievi calabri, oltre ai monti della Tolfa (Lazio) e della Maremma. Sicuramente scomparso in Sicilia dagli anni ‘50, mai stato presente in Sardegna.
Geneticamente l’isolamento delle popolazioni si è già fatto sentire e si comincia a parlare di lupo “appenninico” abbastanza distinto dalle altre popolazioni europee. Inoltre l’assenza di scambi riproduttivi tra le varie popolazioni relitte fa temere per un abbassamento della variabilità genetica, fattore evolutivamente negativo. Per i grandi Carnivori quel momento sembra essere un punto di non ritorno, come già accaduto in Italia per la lince e per l’orso bruno alpino.
Gli ultimi 50 anni
Quello della ripresa numerica e della rioccupazione dell’area originaria di presenza del lupo è stato di fatto un miracolo a cui era difficile credere. Un miracolo che ne ha fatto addirittura cambiare lo stato di protezione attuale, non essendo più la sua popolazione in pericolo di estinzione. Più fattori concomitanti hanno reso possibile tutto ciò, a cominciare dalla protezione accordatagli finalmente nel 1973, ad un sistema prima non esistente di indennizzo agli allevatori, alla coscienza ecologica che sempre di più si fa largo in ogni strato sociale, per finire con l’elemento più determinante: l’aumento esponenziale delle possibili prede cioè delle popolazioni di cinghiale, capriolo ed altri cervidi, fino alle nutrie, che gli ha messo a disposizione fonti trofiche prima inimmaginabili.

Il modello delle interazioni preda-predatore di Lokta-Volterra – che in termini semplificati ci dice che se aumenta il numero di prede cresce parallelamente quello del loro predatore – sembra dunque alla base della ripresa numerica del lupo. Esso si è venuto a trovare in una situazione ecologicamente ideale, che lo ha portato a crescere di nuovo espandendosi naturalmente, senza alcun intervento antropico, a partire dai centri di presenza anzidetti. Questi sono divenuti centri di espansione dei giovani che trovavano anche altrove condizioni di sicura sopravvivenza in siti liberi da competitori e ricchi di prede. Là potevano dar origine a nuclei riproduttivi ulteriori, liberi a loro volta di espandersi.
Ma se ciò è accaduto, non possiamo adesso pensare di poter tornare indietro. La sua espansione è un segno ecologicamente importante che non possiamo ignorare, un dato di fatto accaduto senza nostri meriti. Purtroppo il lupo è un predatore che può far danni ma sopratutto paura: trovarsi faccia a faccia con lui non è un momento piacevole. Era rarissimo, adesso è alle porte di casa e questo non può essere ignorato. Ma se è così vuol dire che una partita è stata vinta, una partita su cui nessuno avrebbe scommesso quando quella benedetta “Operazione San Francesco” venne avviata tanti anni fa. La loro gestione non può oggi essere affidata ad abbattimenti. Come è stato detto da molti, crediamo forse che facendone fuori alcuni, diminuiranno le predazioni o non avremo più paura? Credo che non sia proprio così.

Il lupo si è riappropriato silenziosamente e rapidamente dei propri spazi naturali, con lui l’orso è arrivato recentemente ancora più ad ovest sulle Alpi, ricomparendo dove era stato sterminato, ma anche per lui si parla di abbattimenti o di prigionia. Il problema dei grandi Carnivori è biologicamente e socialmente presente e complesso ma non può trovare soluzioni estemporanee od emozionali. È l’ora del noi o del loro: cosa siamo pronti a scegliere? Facciamoci innanzitutto questa domanda!

Crediti
Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.