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L’Elleboro illumina l’inverno dei boschi

Helleborus niger L. 1753 – Foto di Roland Steinmann da Pixabay

Capita d’inverno, passeggiando nei boschi, in zone fresche e ombrose, di veder spuntare dalle foglie umide e marcescenti del terreno, talvolta dalla neve, un ciuffo di foglie verdi rischiarate da bellissimi fiori bianco rosati: l’Elleboro!

E’ una delle poche specie che fiorisce d’inverno; per questo in molti paesi viene considerato il fiore natalizio per eccellenza: in Italia viene chiamata “Rosa di Natale”, in Gran Bretagna “Christmas rose”, in Francia “Rose de nöel”, mentre in Germania è conosciuta come”Christrose” o “Schneerose”.

L’Elleboro (Helleborus L.,1753) è un genere botanico che comprende circa 30 specie erbacee perenni di cui una decina presenti allo stato spontaneo  in Italia. Generalmente vive sino a 1.000 m, nelle zone di mezz’ombra, al  margine dei boschi cedui, in luoghi sassosi e cespugliosi.

La specie più nota è l’Helleborus niger L. conosciuto oltre che come Rosa di Natale, anche con i nomi di Erba rocca e Elleboro nero dal colore nerastro del suo rizoma. In Italia è molto diffuso anche l’Elleboro verde (Helleborus viridis L., 1753)

Helleborus viridis L., 1753

Descrizione

Appartenente alla famiglia delle Ranuncolacee, è una pianta erbacea perenne alta 8-35 cm con un rizoma  tozzo da cui si dipartono molte radici.

Presenta due tipi di foglie: le foglie basali , grandi e con un lungo picciolo, presentano la lamina profondamente incisa in 7-9 segmenti con il margine dentellato; l’altro tipo di foglie sono invece disposte sullo stelo alla base del fiore e per questo sono dette cauline.

I fiori sono molto vistosi, di dimensione 6-8-cm; si presentano singoli o a coppie, a forma di coppa, di colore bianco, rosa o raramente rosso-porpora. La loro conformazione rappresenta probabilmente la forma più arcaica nella famiglia delle Ranuncolacee. Il calice è la parte più appariscente: è composto da 5 grandi elementi che comunemente, in altre specie, sono detti sepali e vanno a formare il bocciolo racchiudendo i petali. In questo caso sono detti tepali e vanno a formare la corolla. I petali veri e propri (8-12) sono ridotti e formano dei cornetti tubulari più piccoli degli stami.

Fiore di Helleborus orientalis  Lam. 1789, specie balcanica – Foto di Sonja Kalee da Pixabay

La pianta fiorisce da gennaio a aprile. La riproduzione avviene per via sessuata grazie all’azione degli insetti pronubi.

Quando a aprile la pianta sfiorisce, perde contemporaneamente anche le foglie che ricompaiono poco dopo facendo diventare l’Elleboro un piccolo cespuglio verde.

Foglie basali di Elleboro – Foto di MrGajowy3 da Pixabay

I frutti sono rappresentati da 6-7 capsule dette follicoli piuttosto coriacei con all’apice un piccolo rostro. A maturità il follicolo si apre rilasciando molti semi di colore nero brillante.

Frutti ( follicoli) di Elleboro – Foto di MrGajowy3 da Pixabay

Proprietà medicinali

Sembra che il nome Elleboro derivi dall’unione di due parole greche (elein=ferire e bora=alimentare) ovvero “cibo mortale”. Tutta la pianta è infatti altamente irritante e  tossica sia per l’uomo che per gli animali,per cui è consigliabile evitare il contatto diretto e lavarsi le mani dopo averla toccata. La pianta, molto usata in erboristeria, contiene un principio attivo, l’elleborina, un glucoside che ha proprietà irritanti, narcotiche, anestetiche ed è ricca di alcaloidi con proprietà cardiotoniche e purganti

Usi, miti e credenze

Le proprietà medicinali e allucinogene dell’Elleboro erano note fin dall’antichità, tanto che era ritenuto capace di evocare gli spiriti dell’aldilà; perciò si credeva fosse una delle piante usate dalle streghe per le loro pozioni magiche e si attribuiva all’Elleboro il potere di rendere invisibili le persone.

L’antica farmacopea indicava l’Elleboro come rimedio per la cura delle malattie cardiache, mentre la polvere ottenuta dai rizomi seccati e polverizzati, poiché esercita un’azione irritante locale molto potente, era utilizzata come “starnutatorio”, per provocare cioè gli starnuti, irritando la mucosa nasale.

Nell’antica Grecia l’Elleboro era considerato un rimedio nella cura delle malattie mentali. Era credenza comune, infatti, che il decotto delle radici fosse un valido rimedio per la pazzia, tant’è vero che il mito narra che Ercole guarì dalla pazzia grazie all’Elleboro e che il pastore Melampo, curò la follia delle figlie di Preto re di Argo, che credevano di essere state tramutate in vacche, con il latte della capre che ne avevano mangiato le foglie.

Parole dal passato

In letteratura, anche in quella più antica, si ritrovano numerose citazioni su questa pianta.

Petronio Arbitro dice nel suo Satyricon [88,4]: “Chrysippus, ut ad inventionem sufficeret, ter Elleboro animum detersit”., cioè Crisippo, per affinare la sua capacità percettiva, per tre volte si schiarì la mente con una pozione di Elleboro”.

Anche Quinto Orazio Flacco ne parla nel suo Satirarum (Terza Satira – Libro II): “Danda est ellebori multo pars maxima avaris”; poiché noto rimedio contro la pazzia, in questo caso degli avari.

Orazio consigliava inoltre di recarsi per la cura della pazzia sull’isola di Anticipa, in cui l’Elleboro cresceva abbondante.

Nel XIX secolo F.D.Guerrazzi nel cap. XXVI dell'”Assedio di Firenze” esclamava: ” Ah, storico, invece di spendere in inchiostro comprati Elleboro, tu sei pazzo.”

Gabriele D’Annunzio ne “La figlia di Iorio” scrive: “Vammi in cerca dell’Elleboro nero che il senno renda a questa creatura.”

Curiosità

Nella cultura contadina l’abbondanza dell’Elleboro nei campi poteva dare una previsione sull’andamento del raccolto.

Ancora oggi in India si brucia accanto al letto delle partorienti per affrettare il parto e perché lo spirito degli dei entri nella mente del neonato

Crediti

Autore: Maria Beatrice Lupi. Naturalista, esperta in formazione, progettazione per lo sviluppo sostenibile, metodologie partecipative e progettazione europea. Attualmente si occupa di divulgazione e di educazione alla sostenibilità