Prendiamoci cura della Terra

Un’avvincente storia che può cominciare con i licheni…

Che storia è? E’ forse la storia più importante per la biodiversità del nostro Pianeta! La storia di un pianeta che ad un certo punto, circa 460 milioni di anni fa, quando la maggior parte delle terre emerse erano riunite nel supercontinente Gondwana, ha visto  le sue rocce, fino a quel momento segnate soprattutto da rivoli di colonie algali, colorarsi di arancione, giallo, verde, grigio: erano i licheni, formazioni vegetali costituite dalla simbiosi fra un’alga e un fungo. Nella simbiosi lichenica, il fungo utilizza le sostanze organiche prodotte dall’alga per via fotosintetica, mentre l’alga utilizza l’acqua e i sali minerali che le ife fungine assorbono dal substrato. Oggi su quelle rocce che hanno ospitato per prime i licheni, e che nel frattempo sono andate in giro a formare continenti, si trovano foreste lussureggianti.

Ma no, non vogliamo parlare della storia evolutiva delle piante! Vogliamo parlare di quello che succede sotto le piante e grazie alle stesse piante. Vogliamo parlare di “coloni” che si succedono, sempre nella medesima sequenza, e che danno luogo a paesaggi nuovi e ad ambienti sempre più complessi. Desideriamo mettere l’accento su come le piante siano l’anello di congiunzione fra le cose vive e le cose morte.

Lichene su roccia basaltica. Foto Anna Lacci.

Ma torniamo ai licheni: sono fra gli organismi più diffusi sulla superficie terrestre ed hanno una grande capacità di vivere in ambienti inospitali per qualsiasi altra specie vegetale. Essi provocano la degradazione superficiale delle rocce, grazie all’attività fisica e chimica dei loro talli. I licheni sono i primi rappresentanti della vita vegetale nella colonizzazione di substrati duri, tanto che perfino i vetri delle vecchie cattedrali mostrano corrosioni causate dalla flora lichenica. E’ indubbiamente nelle regioni polari che si trova la massima espressione di questa associazione; dove nessuna erba riesce a vivere, essi colonizzano intere regioni: le tundre.

Ecco, intanto abbiamo detto la parola magica: colonizzare, ovvero essere in grado di occupare un ambiente fisico inospitale per le altre specie vegetali.
Chi colonizza? Le specie “pioniere”, che esercitano un’azione modificatrice sull’ambiente, rendono il substrato più accessibile ad altre specie che si insedieranno successivamente.
Un ecosistema, infatti, non è né statico né immutabile, ma in continua evoluzione ad opera degli organismi e delle specie vegetali che in esso vivono. L’evolversi degli ecosistemi viene chiamato successione ecologica. Nelle zone attigue ai vulcani attivi, dopo un’eruzione e dopo che la lava si è raffreddata, il suolo è completamente privo di vegetazione; i primi abitatori saranno i licheni che iniziano la colonizzazione dello strato lavinico.

Un campo di lava colonizzato dai licheni in Islanda. Notare come nelle depressioni del terreno si siano insediate piante superiori, grazie all’accumulo di sedimenti dovuto al dilavamento delle aree più alte. Foto Anna Lacci.

E’ da questo punto che vogliamo cominciare l’avvincente e complessa storia della formazione del SUOLO. Diciamo da questo punto perché le rocce, già dal loro primo consolidarsi, sono state modificate dall’azione di forze fisiche come l’acqua, il vento, le variazioni di temperatura. E’ da questo punto in poi che vogliamo evidenziare come gli esseri viventi contribuiscano in modo determinante alla formazione di un suolo in grado di ospitare specie sempre più esigenti in un avvicendamento che nulla ha di casuale.

Il suolo costituisce lo strato più esterno della crosta terrestre, una sorta di graziosa copertina che tenta di coprire tutti i luoghi, anche quelli più impervi, della Terra.
La natura della roccia madre è quella che influenza maggiormente la composizione del suolo da un punto di vista delle componenti minerali, mentre l’azione dei microrganismi, della fauna ipogea e delle radici delle piante che lo colonizzeranno è determinante nella formazione della struttura e della sostanza organica e nel riciclo dei nutrienti.
In sintesi il suolo può essere definito come un sistema che viene modellato dall’azione di cinque fattori principali: composizione di partenza della roccia madre, clima, topografia, azione degli organismi, tempo (Ferrari, Galassi, Viaroli, 2014).

Questo tetto è un esempio che spiega facilmente come i substrati duri, siano essi opera della natura o dell’uomo, vengono colonizzati da parte dei vegetali: i licheni colonizzano la parte più impervia; i muschi, approfittando del substrato dovuto all’accumulo delle sostanze organiche che si raccolgono negli interstizi delle tegole, formano bellissimi cuscini verdi; le piante superiori riescono a fiorire nella parte più bassa, dove la pioggia  accumula tutto quello che si deposita sul tetto. Notiamo come le angiosperme siano rappresentate dall’Ombelico di Venere (Umbilicus rupestris), una tipica pianta pioniera appartenente alla famiglia delle Crassulaceae, che si difende dalla siccità e dall’insolazione accumulando acqua dei suoi tessuti.

Non tutti i suoli necessitano dello stesso tempo per la loro formazione. Il tempo dipende soprattutto dalla latitudine che, a sua volta, influenza il clima. A parità di latitudine, diventa importante la configurazione del territorio, perché il suolo si forma più rapidamente nelle zone pianeggianti che in quelle in pendenza. Con una certa approssimazione si può dire che per formare 1 cm di suolo in un clima temperato occorrono 200-400 anni. (Ferrari, Galassi, Viaroli, 2014).

I substrati sabbiosi o sassosi, dotati di una scarsa componente organica, vengono colonizzati da associazioni di specie perenni, sempreverdi, legnose, di aspetto simile a un piccolo arbusto; esse, oltre che arricchire di ulteriore parte organica il suolo, hanno anche funzione di stabilizzarlo. In tutto il bacino del Mediterraneo queste formazioni che colonizzano terreni aridi, molto soleggiati, prendono il nome di gariga. Le specie che vivono in questi ambienti in genere mostrano adattamenti peculiari, come la presenza di tomento, una sorta di peluria bianca che ricopre la superficie degli organi e ha la funzione di riparare la pianta dalla forte insolazione e, quindi, dalla disidratazione. Anche la caratteristica di ombreggiare l’area che circonda la pianta assumendo la forma “a cuscino” (pulvino) serve a riparare le radici dai raggi cocenti del sole.

Su questa parete dell’isola d’Elba la gariga è costituita da Elicriso (Helichrysum italicum) e Cineraria marittima (Senecio cineraria). In questo caso, essendo il terreno fortemente inclinato, le radici delle piante proteggono il suolo dal dilavamento e diminuiscono la possibilità di movimenti franosi. Foto Anna Lacci.

In questo modo gli organismi interagiscono con l’ambiente in modo co-evolutivo: l’ambiente seleziona gli organismi che a loro volta stabilizzano le condizioni ambientali attraverso continue e impercettibili modificazioni reciproche. Il continuo accumulo di sostanza organica proveniente dalle piante e dagli animali, che viene degradato dalla fauna ipogea, determina nel tempo una stratificazione del suolo nella quale si distinguono strati sovrapposti: gli orizzonti. La figura seguente ben illustra le caratteristiche di ciascun orizzonte.

Rappresentazione schematica degli orizzonti del suolo. Da: Introduzione all’ecologia applicata di S. Galassi, I. Ferrari e P. Viaroli. Ed Città Studi, 2014.

Il primo orizzonte è rappresentato dalla lettiera: è qui che tutta la parte organica si accumula, è qui che gli elementi di ciascun ambiente rilasciano i loro “rifiuti” (peli, escrementi, foglie secche, ecc.) e le loro spoglie. Questo significa che le lettiere non sono tutte uguali perché le piante, come abbiamo detto, sono diverse in ciascun ecosistema e quindi anche gli animali che se ne nutrono e le colonizzano possono essere caratteristici di quell’ambiente.

Lettiera di vegetazione sempreverde 1 – Lumaca (Arion rufus) | 2 – Onisco (Oniscus asellus)
3 – Bruco di processionaria (Thaumetopoea pityocampa) | 4 Formica rossa (Formica rufa)
5 – Uova di lucertola (Podarcis murlis) | 6 Mustiolo (Suncus etruscus)
7 – Ninfa di grillo (Tettigoniide) | 8 Lichene (Cladonia rangifera)
9 – Plantula di Pino (Pinus pinea) |10 Lettiera di aghi di pino
11 – Resti di pasto di scoiattolo (Sciurus vulgaris) su pigna
Disegno di Rossella Faleni.
Lettiera di boschi decidui
1 – Miriapode (Lithobius forficatus) | 2 – Chiocciola dei boschi (Cepaea nemoralis)
3 – Orbettino (Anguis fragilis) | 4 – Lombrico (Lumbricus herculeus)
5 – Borra di allocco (Strix aluco) | 6 – Muschio (Polytrichum juniperinum)
7 – Lettiera di foglie di faggio (Fagus sylvatica)
Disegno di Rossella Faleni.
Il ciclo della materia. Disegno di Rossella Faleni.

Possiamo così riepilogare: sul suolo cadono le foglie secche, gli animali morti, le piume, gli escrementi, i peli, le ossa, i rami secchi. I necrofagi mangiano le carogne; i demolitori (insetti, vermi, molluschi, crostacei) presenti nella lettiera spezzettano i materiali in parti sempre più piccole; i decompositori (batteri) scindono la materia organica in composti semplici e sali minerali. Le piante assorbono acqua e sali minerali dal terreno e, utilizzando l’energia del sole, attraverso la fotosintesi producono materia vivente, che sarà consumata dagli erbivori, che a loro volta verranno mangiati … e il ciclo ricomincia … e la vita continua.

Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.