Prendiamoci cura della Terra

Come a Chernobyl

Uno degli ingressi al centro di Chernobyl, dove avvenne l’incidente nel 1986. E’ evidente l’esplosione della vegetazione nell’area ormai disabitata (foto Paolo Mittica).

Per il bene del Pianeta, Aiutiamo il Pianeta, Facciamo un piccolo gesto in favore del Pianeta sono frasi che siamo ormai abituati a sentire sempre più spesso, anche quando si riferiscono a questioni o ad azioni che peggiorano, nella sostanza, la vita della biosfera. Ecco, BIOSFERA. Ma, quando parliamo di biosfera, di cosa parliamo, esattamente?
Delle piante e degli animali? Certo! Ma quali? Siamo consapevoli del fatto che fra gli animali ci siamo anche noi? Ci rendiamo conto che quando si parla di difficoltà della vita sul pianeta Terra, almeno tra i mammiferi, la specie rappresentata da più individui è la nostra? E che, quindi, saremmo tra i primi a scomparire?

Il 26 aprile 1986 il mondo precipitò nella prima emergenza ambientale globale: il reattore 4 della Centrale Nucleare di Chernobyl esplose. Una bomba radioattiva 500 volte più potente di quelle che gli Stati Uniti sganciarono su Hiroshima e Nagasaki il 6 e 9 agosto del 1945. Da allora Chernobyl viene rappresentata come la cattedrale della distruzione che fu. Anche se le uniche vittime del disastro ufficialmente riconosciute furono i 31 operai che lavorarono per spegnere l’incendio del reattore, si calcolano almeno 30 mila morti, nell’immediato e nei decenni successivi. Mezzo milione di sfollati. Cento fra città e villaggi svuotati. Cinque milioni di persone destinate a costanti controlli medici per contrastare le forme tumorali causate dall’esposizione alle radiazioni. Migliaia di neonati malformati in tutta Europa. 2.800 km quadrati di acque, flora e fauna contaminati.

Ma dopo 35 anni, cosa succede OGGI in quel territorio? Piante e animali hanno invaso strade, piazze, case; le radici degli alberi hanno divelto asfalto e cemento; nelle crepe dei muri le erbe si fanno spazio; gli uccelli sono tornati a nidificare sugli alberi e decine di specie di mammiferi, lupi compresi, vivono fra quei muri ormai irriconoscibili.

Immagine dell’area di Chernobyl che testimonia come in natura non possa esistere il vuoto.

Uno studio realizzato da Ismael Galván, del Consiglio Nazionale della Ricerca spagnoloe dal suo team internazionale, pubblicato sulla rivistaFunctional Ecology, ha analizzato lo stato di salute degli uccelli che abitano all’interno dell’area contaminata, svelando un fenomeno inaspettato: molte specie sembrano infatti riuscite ad adattarsi all’effetto delle radiazioni, traendone in alcuni casi addirittura degli effetti benefici.
Sono stati prelevati campioni di sangue da 152 uccelli appartenenti a 16 specie diverse, provenienti da otto siti nei pressi della zona interdetta di Chernobyl, sui quali sono stati misurati: il grado di stress ossidativo, la presenza di danni al DNA e i livelli di glutatione, un composto coinvolto nei meccanismi di riparazione dei danni da stress ossidativo.
Le radiazioni ionizzanti causano la produzione di radicali liberi, sostanze dannose contro cui normalmente l’organismo si difende grazie a molecole ad effetto antiossidante come il glutatione. Quando la quantità di antiossidanti non è sufficiente a combattere l’effetto deiradicali liberi, il risultato è un effetto tossico per l’organismo definito stress ossidativo, che provoca la comparsa di danni al materiale genetico delle cellule, facendole invecchiare precocemente e portandole alla morte.
Gli studi svolti fino ad oggi sulla fauna dell’area di Chernobyl avevano mostrato che l’esposizione prolungata alle radiazioni abbassa i livelli degli antiossidanti nell’organismo, producendo danni da stress ossidativo. Dalle analisi attuali, al contrario, all’aumentare del livello delle radiazioni aumentano anche i livelli degli antiossidanti, mentre lo stress ossidativo diminuisce.
Studi svolti in laboratorio avevano già dimostrato che diversi tipi di animali, tra cui l’uomo, possono adattarsi alla presenza di radiazioni ionizzanti, e che l’esposizione prolungata a bassi livelli di radiazioni può generare nell’organismo la capacità di resistere ad esposizioni sempre maggiori. Fino ad oggi, però, questi fenomeni non erano mai stati documentati in animali che vivono in libertà.

Alle 14:46:23, ora locale, dell’11 marzo 2011 un terremoto di magnitudo 8.9 della scala Richter, della durata di 3 minuti, colpisce il Giappone. L’epicentro del terremoto è situato in mare aperto, a 373 km a nord-est di Tokyo e ad una profondità di 25 km. La scossa genera uno tsunami con onde anomale alte fino a 14 metri, che si riversano sulla costa orientale del Giappone. L’acqua del maremoto danneggia i sistemi elettrici di raffreddamento della centrale nucleare di Fukushima, provocando esplosioni nei reattori 1 e 3 ed il surriscaldamento dei reattori 2 e 4.
Sono tra 80 e 100mila le persone evacuate permanentemente. La quantità di cesio radioattivo fuoriuscita dalla centrale nucleare di Fukushima è pari a 168 bombe atomiche come quella sganciata su Hiroshima. E sebbene una fuoriuscita prolungata nel tempo da una centrale sia una cosa molto diversa dalla forza distruttiva emessa all’improvviso da una bomba, la radioattività che resta sul territorio è identica.

Anche in questo caso ci chiediamo cosa stia accadendo OGGI in quel territorio. La risposta è la stessa: piante e animali si sono impossessati di quell’area. La vegetazione non è fitta come quella di Chernobyl perché sono passati solo 10 anni, ma le auto e tutti i manufatti sono circondati dalla vegetazione e cominciano ad esserne sommersi. Insetti, uccelli e mammiferi selvatici si sono riappropriati di quelle aree e vivono tranquillamente la loro vita.

Fukushima. Non manca molto al momento in cui la foto scattata da un drone non riuscirà più a distinguere le lamiere delle auto lasciate dagli uomini fuggiti dal disastro nucleare.

Ma non è necessario che ci sia un disastro nucleare affinché le altre specie, finalmente padrone del campo, possano manifestare la loro presenza perché la stessa cosa avviene in un territorio abbandonato dagli uomini, per qualsiasi motivo. Il villaggio cinese di Houtouwan sull’isola di Shengshan situata a 140 chilometri da Shanghai, un tempo ospitava una fiorente comunità di oltre 2.000 pescatori. Fondato nel 1950, a metà degli anni ’90 era già in gran parte abbandonato perché il suo porto negli anni si era rivelato troppo piccolo per ospitare traghetti sufficientemente grandi da garantire servizi efficienti. Anche in questo caso OGGI il villaggio è quasi scomparso sotto una coltre di vegetazione.

Il villaggio di Houtouwan ormai “congelato” nel tempo.

Tre esempi di quanto il Pianeta si giovi della nostra assenza, tre casi che dimostrano come il Pianeta, appena viene lasciato in pace, tende a rimettere a posto le cose. Gli innumerevoli “trucchi” di chi finge di voler cambiare le cose per limitare i danni del cambiamento climatico, lasciando che l’attuale sistema di consumi finisca di divorare le ultime risorse della Terra, sono pietose idiozie da ragazzini, che credono di coprire le proprie marachelle per rubare un leccalecca in più. La Terra ha già visto estinzioni di massa, ma ha continuato a girare tranquillamente intorno alla sua Stella. L’estinzione di massa che conosciamo tutti è quella del Cretaceo-Paleocene, avvenuta circa 65,95 milioni di anni fa, che portò alla scomparsa di circa il 70% delle specie marine e continentali esistenti. Eppure la Terra si è ripopolata, gli unici dinosauri rimasti sono stati gli uccelli che si sono moltiplicati in mille e mille specie dai canti armoniosi, coperti di piume multicolori. Anche i mammiferi si sono specializzati in centinaia di specie, fino a generare Homo sapiens sapiens. Ma quest’ultima specie, presa da delirio di onnipotenza, non fa che combinare guai e, per colmo di incoscienza, si racconta storie dicendo di voler aiutare il Pianeta!

Dobbiamo avere ben chiaro che:
SE ammazziamo le api con gli insetticidi, le api muoiono, è vero, ma saremo NOI a non avere più frutta e verdura e ad accumulare nel nostro organismo quei pesticidi che ammazzano le api e che minano anche la nostra salute.
SE bruciamo le foreste per piantare palme da olio, saremo NOI a non avere più grandi alberi che ci regalano ossigeno e materie prime. SE tagliamo i boschi che in montagna regimentano le acque meteoriche, saremo NOI a restare senza acqua nella stagione calda e ad avere fiumi in piena che ci portano via le case.
SE bruciamo gli alberi che con le loro radici tengono insieme i costoni a strapiombo, saremo NOI a rimanere schiacciati dalle frane.
SE buttiamo immondizie in mare, saremo NOI a trovare le spiagge piene di rifiuti.
SE, inquinando i mari e gli oceani con reflui costieri e navi che perdono petrolio, distruggiamo le alghe verdi unicellulari che producono ogni anno circa il 50% dell’ossigeno nell’atmosfera, saremo NOI a non sapere dove procurarci l’ossigeno che ci serve per respirare.
SE continuiamo a cacciare, catturare, vivere in stretta prossimità con le specie selvatiche e a praticare l’allevamento intensivo delle specie domestiche, saranno milioni di NOI a rimanere vittime di pandemie planetarie.

Come a Chernobyl, come a Fukushima, come a Houtouwan, il giorno in cui la nostra specie si estinguerà, alla Terra non importerà nulla: la selezione naturale continuerà a “sfornare” nuove specie che ripopoleranno il Pianeta azzurro fino a quando di lui non resterà che polvere di stelle.
PENSIAMOCI e, per la nostra sopravvivenza e non per quella del Pianeta, smettiamo di raccontarci storie assurde.

Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.