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Lo Spinarello e Tinbergen

Lo Spinarello (Gasterosteus aculeatus) è un pesciolino reso particolarmente famoso dagli studi che Niko Tinbergen compì su di lui, tanto da essere considerato una vera e propria icona delle scienze comportamentali. Senz’altro al pari delle oche di Konrad Lorenz e delle api di Karl von Frisch, i due studiosi che nel 1973 si guadagnarono con Tinbergen il Premio Nobel per le loro ricerche etologiche. Studiando il suo comportamento sociale, Tinbergen chiarì aspetti fondamentali dell’etologia, quali l’esistenza di stimoli cosiddetti “chiave”, capaci di indurre nell’individuo determinate azioni istintive proprie dei sistemi riproduttivi, agonistici e territoriali. Sul comportamento dello Spinarello basò inoltre una delle due ipotesi oggi esistenti di organizzazione temporale e gerarchica del comportamento animale.

Ma com’è fatto questo piccolo e famoso pesciolino?
Lo Spinarello deve il suo nome italiano alle vistose spine ossee che ha sul dorso e sul ventre, come ben si vede nella figura.

In alto la forma tracurus caratterizzata da una più estesa formazione di piastre dermiche, sviluppate su quasi tutta la lunghezza del dorso e dei fianchi, sino al peduncolo caudale.
In basso la forma leiurus, in cui le piastre dermiche sono assai meno presenti.

Raramente supera gli otto-dieci centimetri e il suo corpo è più o meno ricoperto da piastre ossee dermiche variamente sviluppate nelle diverse popolazioni. La funzione antipredatoria delle spine appare ovvia, ma certamente non sufficiente ad assicurare al pesciolino una protezione sicura da parte di pesci predatori come le trote o i lucci e men che meno dagli attacchi aerei del Martin pescatore. Dello Spinarello, che ha una amplissima distribuzione nei fiumi europei e nord americani, si conoscono due forme distinte. La prima ha abitudini migratrici: vive nelle acque marine costiere e risale in quelle di fiumi e lagune solo per la riproduzione. Le due forme sono tra loro interfeconde e generano esemplari con un complesso di piastre intermedio, come accade nelle aree di contatto tra le due diverse popolazioni. La popolazione italiana appartiene alla seconda forma con una corazzatura più leggera, con tre spine davanti alla pinna dorsale concresciute con altrettante piastre dermiche. Una piccola spina precede anche la pinna anale, mentre a destra e a sinistra il primo raggio delle ventrali è trasformato in un ulteriore  raggio osseo spinoso. Da qui il nome anglosassone di “Spinarello a tre spine”, per differenziarlo da due “cugini” non presenti nella nostra fauna, che di spine dorsali ne hanno una decina (Spinarello a 10 spine).

Se queste particolarità morfologiche sono solo la gioia di tassonomi e sistematici, il comportamento riproduttivo dello Spinarello ha da tempo interessato gli etologi, che ne hanno tratto interi capitoli di tale disciplina scientifica. Durante la stagione non riproduttiva maschi e femmine si riuniscono in piccoli gruppi, non disdegnando la reciproca compagnia. All’avvicinarsi della primavera il gregarismo invernale svanisce per lasciar posto a un deciso comportamento territoriale dei maschi, che si isolano stabilendo un proprio territorio, a differenza della femmine che rimangono in gruppi non territoriali. La tempesta ormonale scatenata dalla maturazione delle gonadi maschili, provoca un cambiamento di colorazione del ventre dei maschi che, per l’azione di cromatofori carichi di pigmenti rossi, diviene di un vivido color ciliegia. Anche gli occhi divengono di un azzurro splendente, mentre il dorso in luogo di una tonalità grigiastra ne assume una verdolina.

Spinarello in fase territoriale riproduttiva con ventre rosso
Foto di Pulmarüüs isane ogalik

La colorazione è sotto il controllo ormonale e permarrà immutata per tutto il periodo riproduttivo. Le femmine mantengono invece il loro colore usuale grigio-verdastro chiaro, con un accenno di fasce trasversali, comune a tutti i membri della specie. Tuttavia la loro silhouette cambia man mano che l’ovario produce uova mature, tanto che il loro ventre si gonfia in modo assai deciso, ben visibile sia nel profilo laterale che dall’alto. La femmina “ventre gonfio” va così a costituire per il maschio un chiaro segnale di maturità sessuale e quindi di disposizione alla deposizione delle uova. Il territorio, ampio non più di alcuni decimetri quadrati, è stabilito dal maschio sul fondo dei corsi d’acqua, in zone ricche di piante acquatiche e viene difeso accanitamente, scacciando i possibili maschi competitori. Un maschio maturo non lo abbandona mai, precipitandosi verso eventuali intrusi esibendo il ventre rosseggiante e assumendo davanti ad essi una tipica posizione verticale a testa all’ingiù.

La tipica posizione aggressiva a testa in giù

Normalmente questi due segnali visivi (ventre rosso e testa in giù) sono sufficienti a scoraggiare i rivali, in un contesto aggressivo tipicamente ritualizzato e non cruento. Si può raramente passare alle vie di fatto con brevi quanto rapidi inseguimenti, colpendo ai fianchi i maschi meno pronti a reagire ai segnali di minaccia “posto occupato, sloggia”! In ogni caso nei contesti aggressivi il proprietario del territorio è costantemente il vincitore, fatto questo che appare essere comune a tutti gli episodi agonistici che avvengono in un territorio occupato.

La capacità della colorazione rossa del ventre di costituire un chiaro ed inequivocabile segnale, fu scoperta da Tinbergen con esperimenti in cui ad uno Spinarello territoriale veniva mostrato un modello in cera perfettamente realizzato ma senza il ventre rosso, ed altri del tutto grossolani ma con la parte inferiore rossa.

Modelli in cera usati da Tinbergen per individuare gli stimoli efficaci a scatenare l’aggressività nello Spinarello.
La parte scura in basso nei modelli era colorata di rosso.

Il primo modello (vedi figura precedente) non suscitava alcuna reazione agonistica, a differenza degli altri che venivano persistentemente attaccati fintanto che non venivano tolti dall’acquario. Un curioso ma interessante aneddoto a proposito della potenza del segnale rosso, venne una volta raccontato da Tinbergen: alcuni acquari con dentro spinarelli in fase territoriale, erano stati casualmente posti davanti ad una finestra che dava sulla strada. Tutti assieme si mettevano in agitazione senza un’apparente ragione e circa alla stessa ora, cozzando contro il vetro dalla parte esterna. Svelò il mistero quando si accorse che l’agitazione era indotta dal passaggio del furgone postale, in Olanda di colore rosso, che scambiavano per un oppositore!

Del suo territorio lo Spinarello ha una precisa conoscenza visiva dei confini e della struttura, acquisita attraverso la memorizzazione di elementi salienti quali sassi, piante acquatiche e cose simili. Si può dunque parlare di una “mappa cognitiva” del suo territorio, che l’animale deve inserire in una rete neurale per poterla memorizzare stabilmente. Quando uno Spinarello attacca un intruso, lo minaccia e lo insegue fino al limite del suo territorio, non oltre; lì si ferma, pago di quanto ha fatto.

Illuminante è stato l’esperimento di Tinbergen in cui, in un acquario sufficientemente grande, due spinarelli stabilirono i loro distinti territori. Catturati e messi ciascuno in una grossa provetta di vetro, Ciccio e Lillo (chiamiamoli così) furono posti insieme nell’uno o nell’altro territorio (figura seguente). In quello di Ciccio era lui che cercava di attaccare Lillo, sbattendo furiosamente contro il vetro mentre l’altro cercava inutilmente di scappare in direzione opposta. Giusto il contrario accadeva quando le due provettone erano spostate nel territorio di Lillo: questi attaccava, Ciccio fuggiva. Erano dunque capaci di riconoscere prontamente dove si venivano a trovare, comportandosi di conseguenza. Lo stato riproduttivo e le motivazioni erano le stesse, ma ciò che contava era il luogo in cui si trovavano.

Il territorio condiziona il livello di aggressività nello Spinarello: ad attaccare è sempre il residente, a fuggire l’intruso.

Per lo Spinarello il territorio è soprattutto un’area riproduttiva, per questo la difende con ardore. E’ infatti lì che costruisce il nido, è lì che attira le femmine e alleverà in solitudine i piccoli con opportune quanto sollecite cure parentali. Il tutto con un bagaglio di azioni istintive, frutto dell’evoluzione di programmi motorii tipici della specie e geneticamente trasmessi. E’ stato provato che Spinarelli allevati in isolamento dallo stadio di uovo, saranno capaci di esibire quelle stesse azioni istintuali al momento della riproduzione.

In una posizione quanto più possibile centrale rispetto ai confini del territorio, il maschio costruisce il suo nido, raccogliendo e cementando assieme con una secrezione renale, un gomitolo di filamenti algali ed erbacei, non più grande della propria lunghezza. Con colpi di muso lo perfora, dandogli forma di un manicotto, ancorato al fondo sassoso o a piante palustri. La riproduzione è poligama, in quanto uno stesso maschio attira al nido più femmine in successione, inducendole a scaricarvi le loro uova. Questo avviene con una catena di azioni di corteggiamento strettamente coordinate con la femmina, in quella che Tinbergen chiamò “danza a zig-zag”, rappresentata nella figura seguente, così come lui la ritrasse: una figura che possiamo ritrovare oggi sulla copertina di molti testi di Etologia per la sua rilevanza storica.

Parata nuziale del maschio attratto dal ventre gonfio della femmina che risponde al suo invito seguendolo verso il nido con la danza a “zig-zag”.

Allorchè una femmina matura si avvicina al suo territorio, il maschio le va rapidamente incontro con un nuoto a zig-zag, attirato dal suo ventre gonfio. Essa lo esibisce con un movimento di inarcamento verso l’alto al suo avvicinarsi, segnale stimolante chiave che indica la sua disposizione alla riproduzione.

I movimenti verso di lei, sono seguiti da altrettanto rapidi scatti verso il nido.  Salite e discese si ripetono più volte, fintanto che, raggiunta la necessaria coordinazione, la femmina lo segue e viene invitata ad entrare nel nido a manicotto dal maschio, che girandosi su di un fianco vi infila il muso.

Questa allora cerca, contorcendosi, di entrarvi e, dopo vari tentativi, riesce finalmente a farlo con un energico colpo di coda, lasciando spuntare il muso e la coda di fuori.

Una volta dentro, il maschio la stimola a deporre con brevi e ripetuti colpetti alla base della coda, fintanto che essa alzandola scarica le uova, almeno un centinaio, non più grandi di due millimetri.

A quel punto l’idillio è finito: la femmina si dilegua velocemente, il maschio entra nel tunnel ed irrora di sperma le uova, fecondandole. Lasciato libero, potrà corteggiare altre femmine, di solito tre o quattro, completando la covata multipla.

Immagini da: http://www.ittiofauna.org/webmuseum/pesciossei/gastrosteiformes/gastrosteidae/gasterosteus/gasterosteus_aculeatus/gasterosteus_aculeatus.htm

Il nido pieno di uova è il segnale che spinge il maschio ad iniziare le cure parentali, smettendo di correre incontro alle femmine “ventre gonfio”, per comportarsi da buon padre di famiglia. Certamente deve cercare di tener lontani possibili predatori di uova, compresi i congeneri che certo non si tirano indietro davanti ad un pasto sostanzioso. Il suo principale problema, d’ora in avanti, sarà quello di assicurare alle uova una sufficiente areazione, procurando un continuo passaggio d’acqua nel nido a manicotto: lo fa con un perdurante sventolio delle pinne pettorali di fronte al foro d’accesso, rimanendo in precario equilibrio di posizione con movimenti della coda. Nei sette-otto giorni di cova sarà quello un compito sempre crescente, passando dai pochi minuti l’ora agli inizi dello sviluppo degli avannotti, finché alla fine della settimana la ventilazione arriva ad occupare i tre quarti della giornata. Tale incremento è dovuto ad un crescente impulso motivazionale interno a ventilare, certamente funzionale ad assicurare alla covata un parallelo incremento di ossigenazione.

Quando gli avannotti cominciano a muoversi in giro, ormai privi del sacco vitellino ventrale, il maschio cessa di ventilare e passa a sorvegliare il copioso ed irrequieto gruppo di pesciolini, cercando per quanto può di mantenerli uniti all’interno del territorio. Sempre più vivaci, essi hanno la necessità di salire in superficie per ingurgitare una bolla d’aria, funzionale al corretto sviluppo e funzionamento della loro vescica natatoria. La cosa non è facile e devono farlo in fretta, perché il padre non tollera fughe e per questo li insegue prendendoli in bocca per risputarli nel gruppo dei fratelli. Nel corso delle due settimane successive all’uscita dal nido, la battaglia diviene impari anche per il padre più apprensivo. I pesciolini sciamano in gruppetti e lui perde ogni interesse a difenderli. I suoi colori si spengono gradatamente, cessano le scaramucce tra confinanti, si riprende il gusto del gregarismo con maschi e femmine congeneri, paghi delle fatiche del territorialismo e della riproduzione. E’ il momento di un drastico cambiamento del sistema sociale: ci si prepara alla cattiva stagione, le popolazioni migratrici presto riprenderanno la via del mare, quelle stanziali formeranno piccoli gruppi nelle acque dei torrenti e delle risorgive. Un ciclo annuale si è concluso, per le ostilità ci sarà tempo nella primavera successiva.

Crediti

Autore: N. Emilio Baldaccini. Già Professore Ordinario di Etologia e di Conservazione delle risorse Zoocenotiche dell’Università di Pisa. Autore di oltre 300 memorie scientifiche su riviste internazionali e nazionali. Svolge attività di divulgazione scientifica. E’ coautore di testi universitari di Etologia, Zoologia Generale e Sistematica, Anatomia Comparata.