Settembre è il mese in cui tanti dei fiori che hanno colorato la primavera, diventano frutti altrettanto colorati e nutrienti per la fauna che ha bisogno di affrontare il freddo invernale con una “copertina” di spesso grasso sottocutaneo. È questo il mese in cui maturano i frutti di due specie molto note: il Pero e il Melo. Due specie che sono state addomesticate dando origine ad una grande varietà di cultivar che ci regalano vitamine per quasi tutto l’anno.
Il Pero selvatico (Pyrus pyraster) appartiene alla famiglia delle Rosaceae ed è un albero con la chioma a forma piramidale che può raggiunge i 18-20 m di altezza ma generalmente è molto più piccolo; spesso lo si trova come arbusto con rami espansi e ramuli spinescenti. Il tronco presenta una caratteristica corteccia grigio brunastra che si fessura con l’età fino a presentare profonde placche quadrangolari.

Specie decidua, ha foglie alterne, in genere ovate ad apice acuto e margine finemente dentato, con la pagina superiore verde scuro e la inferiore verde chiaro. I fiori sono riuniti in mazzetti bianchi, spesso soffusi di rosa. I frutti sono pomi piriformi, commestibili a completa maturazione ma hanno sapore aspro e poco gradevole. Localmente venivano raccolti e lasciati maturare sulla paglia (ammezzimento) come le Nespole.
Il Pero vegeta in boschi di latifoglie e arbusteti, predilige climi temperato-freschi e rifugge i forti freddi, le temperature elevate e la siccità. Lo troviamo perciò dal piano alla collina, raramente in montagna sino a 1400 metri. È presente in tutte le regioni insieme ai meno frequenti congeneri Pyrus cordata, dai frutti a forma di cuore, Pyrus spinosa(Pero mandorlino) e Pyrus nivalis, dai frutti gialli. Di recente sono state descritte 3 nuove specie presenti in Sicilia ed appartenenti al genere Pyrus: castribonensis, sicanorum e vallis-demonis.
Il legno del Pero, sia selvatico che domestico, era utilizzato in ebanisteria, nella produzione delle righe delle squadre da disegno e anche per pezzi di strumenti musicali; era inoltre uno dei legni più pregiati per la xilografia.
Anche il Melo selvatico (Malus sylvestris) appartiene alla famiglia delle Rosaceae ma è un alberello di aspetto più gracile del Pero. Ha chioma globosa e densamente fogliosa ed è alto da tre a dieci metri; non è molto longevo, raramente supera gli 80 anni; ha fusto generalmente diritto che si diparte in rami principali robusti e patenti e, come nel Pero, i rametti sono di regola spinescenti; la corteccia grigio-bruna è piuttosto liscia in gioventù e si sfalda in placche a maturità. Le foglie sono alterne, semplici, con lamina ovato-rotonda, di colore verde-opaca scura, apice acuto e margine seghettato. I fiori ermafroditi sono riuniti in cime ombrelliformi di 3-7 fiori bianchi, talvolta rosei esternamente. I frutti sono pomi globosi di 2-3 cm di diametro, giallo-verdastri, a volte con striature rossastre, molto profumati a maturità, ma di sapore decisamente acido, tanto che, pur essendo commestibili, per noi sono immangiabili.

Il Melo selvatico vegeta con individui solitari in boschi di latifoglie sia puri che misti con conifere, preferisce spazi marginali o radure, dove riesce ad espandere la sua chioma globosa. Non è frequente ma lo si trova spontaneo da 0 a 800 metri in quasi tutte le regioni; predilige terreni limosi o sabbiosi ricchi di humus e ben drenati; tollera bene e quasi esige climi rigidi invernali, pur soffrendo grandemente per gelate tardive durante la fioritura.
Desidero ricordare anche che frutti di questa pianta hanno grande spazio sia nella mitologia antica che nel mito biblico: era d’oro la mela attribuita da Paride ad Afrodite ed era una mela il frutto proibito dell’Eden!
Ma se sia i Meli che i Peri hanno tanto peso nella cultura della nostra specie è perché probabilmente hanno costituito un concreto contribuito al sostentamento dei nostri avi lontani, prima che si acquisissero la capacità di addomesticarle; ora sono cibo per ghiri, volpi, tassi, cinghiali, orsi e uccelli, che si nutrono dei frutti maturi caduti a terra o, se facilitati da un paio di ali, direttamente dall’albero!
Una specie che rappresenta una fonte di energia per moltissime specie di piccoli uccelli canori come Pettirossi, Codirossi, Merli, Capinere, Cince e frugivori come Colombacci, Ghiandaie, Gazze e Cornacchie è il Corniolo (Cornus mas) della famiglia delle Cornaceae, un arbusto cespuglioso, caducifoglio, che in condizioni ottimali può assumere le dimensioni di albero. È una pianta rustica e resistente che può raggiungere i 6÷8 metri di altezza, dal tronco eretto, spesso contorto, molto ramificato in alto, con ramuli quadrangolari dalla corteccia che si desquama, grigia con crepe rossastre che si dipartono in brevi rametti. Le foglie ovali, opposte e acuminate, hanno delle caratteristiche nervature che convergono verso l’apice. I piccoli fiori gialli che coprono tutti i rami della pianta in una precoce fioritura all’inizio di marzo, sbocciano prima che spuntino le foglie ed emanano un lieve odore di miele. I frutti sono drupe ovoidali, pendule, eduli, chiamate corniole, carnose, di colore rosso scuro, che contengono un nocciolo duro.

Il corniolo è diffuso in tutta Europa e in Italia è presente, anche se non comune, in tutta la Penisola lungo le sponde dei torrenti, ai margini dei boschi di latifoglie, negli arbusteti talvolta in piccoli gruppi, nelle radure dei boschi di latifoglie. Chi scrive ne ospita un grande esemplare nel giardino che fa da self service per un gran numero di uccelli. È una specie che vegeta sui terreni calcarei, ama il caldo e sopporta bene anche la carenza di acqua.
Al contrario del Corniolo, il Roveto ardente (Pyracantha coccinea) chiamato anche Agazzino, della famiglia delle Rosaceae è un arbusto sempreverde, ramificato, folto e spinoso dai rami contorti, irregolari, generalmente spinescenti all’apice. Questa specie raggiunge abbastanza rapidamente i 2-3 m d’altezza. Ha foglie a lamina lanceolata, leggermente coriacea, con la pagina superiore lucida e di colore verde scuro e l’inferiore verde pallido, il margine dentellato verso l’apice. Le foglie, persistenti in inverno, cadono al momento dell’emissione delle nuove foglie in primavera. I fiori bianchi sono numerosi e i frutti, che rimangono sulla pianta tutto l’inverno, sono riuniti in grappoli formati da piccoli pomi sferici di 5-8 mm, di colore rosso-arancione, polposi, che racchiudono 5 semi.
È una specie che ama vivere in pieno sole e non teme la siccità; la si può trovare in siepi, boschi sempreverdi e luminosi, radure, leccete da 0 a 900 m s.l.m.

Il Roveto ardente, grazie alla copiosa fioritura e ai suoi vistosissimi e numerosissimi frutti è una specie largamente coltivata per le sue caratteristiche ornamentali. Viene utilizzata per costituire siepi impenetrabili, ma anche per il rinverdimento ed il consolidamento di scarpate stradali.
Molte le specie di avifauna che amano i suoi frutti; fra questi ne sono particolarmente ghiotti i merli e i tordi.
Se, però, si vuole ricordare un albero dai frutti amatissimi dagli uccelli, non si può non parlare del Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), una Rosacea amata da: Picchio verde, Pettirosso, Merlo, Cesena, Capinera, Tordi, Picchio muratore, Rigogolo, Ghiandaia, Gazza, Cornacchie, Passeri, Fringuello, Storno, Peppola, Verdone, Cardellino, Lucherino, Organetto, Crociere, Ciuffolotto, Frosone e tutte le Cince! È questo il motivo per cui veniva utilizzato per la caccia, tanto da venire piantato vicino agli appostamenti fissi. Ora, per fortuna, quel tipo di caccia è vietato.

È un albero deciduo, di medie dimensioni, che può raggiungere i 15-20 m d’altezza e che alle massime quote raggiunte, tende a rimanere arbusto. La chioma, inizialmente ovale, si sviluppa fino a diventare ombrelliforme, con rami orizzontali o più o meno ascendenti e tronco piuttosto sottile, eretto e fittamente ramificato. L’apparato radicale è di tipo fittonante e si approfondisce notevolmente anche con robuste radici laterali. Le foglie sono decidue, alterne, imparipennate; lunghe fino a 20 cm, sono formate da 6-7 paia di foglioline sessili, oblungo-lanceolate con apice acuto e margine seghettato; di color verde scuro e lisce sulla pagina superiore, verde-glauco sulla pagina inferiore. I fiori numerosi, ermafroditi, bianchi, compaiono fra maggio e luglio ed emanano un odore di trimetilammina simile all’odore del fiore del Castagno. I frutti, dal sapore acidulo e aspro, sono pomi globosi, raccolti in pesanti grappoli di color rosso scarlatto o rosso corallo che persistono per tutto l’inverno sull’albero e sono un elemento importante per il nutrimento della fauna attiva nella stagione invernale.
Il Sorbo degli uccellatori è una specie molto adattabile, anche se non ama vivere in pieno sole, sopporta bene l’ombra ed è indifferente al substrato purché ben dotato di humus e sufficientemente umido. Occupa principalmente nicchie rocciose, strapiombi, margini boschivi, radure nei boschi montani di latifoglie nobili e di conifere fra 400 e 2.400 m s.l.m.
Dai suoi frutti si ricava il sorbitolo, un tempo impiegato come sostitutivo dello zucchero nei prodotti dietetici. Questa specie e le altre descritte costituiscono un aiuto fondamentale per i mammiferi che utilizzano il letargo per superare l’inverno: la possibilità di accumulare grasso sottocutaneo da sfruttare durante il lungo sonno invernale regala loro la possibilità di rivivere la primavera.
Crediti
Autore: Anna Lacci è divulgatrice scientifica ed esperta di educazione all’ambiente e alla sostenibilità e di didattica del territorio. E’ autrice di documentari e volumi naturalistici, di quaderni e sussidi di didattica interdisciplinare, di materiali divulgativi multimediali.